#womenagainstfeminism? Due, tre cose che vorrei dire alle mie coetanee
Riportiamo per intero di seguito l’articolo di Camilla Gaiaschi pubblicato su 27esimaora.
Segnaliamo inoltre altri articoli sul tema:
Cara ragazza che non ha bisogno del femminismo di Marta Corato su Softrevolutionzine
Women against feminism are missing the point di Lucy Mangan su Stylist
You Don’t Hate Feminism. You Just Don’t Understand It di Emily Shire su The Daily Beast
[Riportiamo a fianco una delle tante immagini che si possono trovare sul blog #womenagainstfeminism ]
#womenagainstfeminism? Due, tre cose che vorrei dire alle mie coetanee
di Camilla Gaiaschi
La prima cosa a cui ho pensato quando ho letto i messaggi delle ragazze anti-femministe che in queste ore stanno girando su facebook è che queste donne non hanno la benché minima idea di cosa sia il femminismo o, piuttosto, “i” femminismi.
Poi mi sono fermata. Ho sbollito l’amarezza e riletto attentamente i loro messaggi: alcuni di essi, nelle loro ragioni, riflettono anche le mie convinzioni. Eppure, al contrario di quelle donne, molte di loro mie coetanee, mi ritengo una femminista. Così, mi sono immaginata che cosa potrei dire loro per instaurare un dialogo, testare le loro convinzioni, far capire infine che sì, di femminismo oggi se ne sente ancora il bisogno. Ma che soprattutto di femminismi ce ne sono tanti. E che quello a cui molte di loro evidentemente pensano è solo una parte del tutto.
Dando un’occhiata ai cartelli, emergono tre tipologie di antifemministe: le ho battezzate la “conservatrice”, la “naïf” e l’“anti-femminista critica”.
La conservatrice è la ragazza che dichiara che il suo compito è quello di occuparsi del proprio “uomo”: anche a spiegarglielo, il femminismo, difficilmente concorderebbe. Vorrei dirle che nemmeno l’emancipazionismo più spinto intende impedire a chi “sceglie” di dedicarsi esclusivamente alla cura del proprio “uomo” di poterlo fare. Piuttosto, consente a quelle donne che desiderano il contrario di poter realizzare le proprie aspirazioni. Gli argomenti da utilizzare con la conservatrice non sarebbero tanto diversi da quelli che userei con chiunque sia contrario all’estensione dei diritti civili. E cioè: un movimento che consente agli individui di effettuare una scelta diversa dall’unica attualmente consentita non è un movimento che vuole sopprimere quell’unica scelta. Piuttosto, vuole estendere il ventaglio delle scelte.
C’è poi la naïf, la ragazza che dice che l’uguaglianza è già stata raggiunta. Sottoporrei semplicemente alla sua attenzione un database qualsiasi (Ocse, Istat, Eurostat? ) su un argomento qualsiasi (gender pay gap? Segregazione verticale? Condivisione dei lavori di cura?) per farle capire che la parità è ben lungi dall’essere raggiunta. Gesto ridondante in fondo: una volta entrata nel mercato del lavoro lo vivrà sulla propria pelle.
C’è infine l’anti-femminista critica, l’osso più duro. Forse “critica” è un termine poco adatto ma efficace nel descrivere un ventaglio di posizioni che vanno da quelle più consapevoli («sono per l’uguaglianza») a quelle più ingenue («sono contro il femminismo perché pone le donne contro gli uomini»). Ebbene: a quelle ragazze direi che hanno ragione.
Direi loro che c’è un femminismo che nemmeno io che sono femminista riesco a digerire. Quel femminismo rievoca l’ineluttabile differenza tra uomini e donne o se non lo fa spesso vi ricade sotto altre forme (“l’uguaglianza nella differenza”), rigetta il biologismo della differenza sessuale per ricostruirla sotto forma di genere, si ritorce nelle proprie contraddizioni («non siamo una minoranza ma chiediamo le azioni positive»), a volte scivola in un certo moralismo e sembra appeso a un’eterna modernità (il post-modern, insomma, non è mai arrivato).
Così, direi a quelle ragazze che esistono tanti femminismi: pensieri e azioni che riflettono non tanto sulla differenza tra uomini e donne ma sulle differenzE tra le donne, femminismi critici che saggiamente si fermano alla rivendicazione delle pari opportunità , anti-separatisti: che non dividono il mondo in due emisferi ma che al contrario riflettono sul transgender e dialogano con il pensiero queer.
Ne approfitterei a quel punto per dire a quelle femministe che hanno avuto la tentazione di liquidare queste ragazze con disprezzo che al contrario è necessario fermarsi a riflettere: sui propri assunti e sul proprio linguaggio, aprirsi con coraggio a parole e pratiche nuove. Nei loro messaggi le nuove generazioni riflettono, con più o meno consapevolezza, la dimensione “post-strutturale” delle relazioni sociali, anche di genere: e questo è un dato su cui non è possibile sorvolare.
Infine, ritornerei da quelle ragazze e direi loro che, pure con tutti i suoi limiti, è grazie a quell’ondata di femminismo che noi oggi possiamo permetterci di fargli le pulci: è grazie alle nostre madri, femministe radicali o separatiste che fossero, che oggi noi abbiamo maggiore probabilità di realizzare le nostre aspirazioni ed esercitare i nostri diritti. Che noi oggi possiamo decidere del nostro corpo e della nostra vita. Solo riconoscendo l’innegabile merito di quelle battaglie è possibile assumere una posizione costruttivamente critica nei confronti di quel pensiero che quelle battaglie ha ispirato.
Altrimenti, restano solo ingratitudine e inconsapevolezza.
Antonia Bertocchi
ho fondato il Femminismo Antropologico e vorrei entrare in contatto con Camilla Gaiaschi
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