Una Rosa non è una rosa
di Egon Botteghi
Report di un dibattito cui ho assistito sul femminicidio e la violenza di genere
pubblicato in antispecismo.net il 29 Luglio 2013
Se, in una notte di quasi mezza estate, durante un dibattito sui rapporti tra i generi, viene consegnata, da un uomo, una rosa a tutte le astanti, quella rosa non è più una rosa ma un simbolo del potere.
Quel povero fiore reciso dalla sua pianta, diviene uno scettro al contrario, il simbolo del dominio dei re sulle regine.
Nella nostra cultura, fatta di marie vergini e dame cortesi, “la donna non si tocca neanche con un fiore”, ma la si può punire, anche con la morte, se non si adegua alle aspettative ed alle richieste del suo “cavaliere”.
Ed è stato così anche per Ilaria Leone, morta lo scorso primo Maggio, il mese delle rose e delle spose, pestata a sangue, violentata e lasciata morire soffocata nel suo stesso sangue, abbandonata dal suo assassino in un uliveto a Castagneto Carducci.
Ilaria era una donna di diciannove anni, doveva comprare del fumo da un uomo che invece ha preteso il suo corpo, e l’ha picchiata perché diceva di no, provocandone la morte.
Quando le solite voci “benpensanti” hanno cominciato a frinire (la ragazza se l’è cercata, non si va sole a fare certe cose, anzi certe cose non si fanno proprio), alcune donne del suo paese si sono ribellate ed hanno fondato l’associazione “Iaia” (dal nomignolo della vittima): “Ilaria associazione impegno antiviolenza”.
Così, ieri, 27 luglio 2013, l’associazione Iaia ha organizzato un dibattito all’interno della festa “Sinistra per Castagneto”, dal titolo: “Maschile e Femminile, come stanno le relazioni tra donne e uomini? Violenza e desiderio di cambiamento”.
Viene invitata anche l’associazione di genitori lgbt di cui faccio felicemente parte,“Rete genitori raimbow” ed essendo io il rappresentante più vicino al luogo, vengo indicato a parteciparvi, insieme al co-presidente Fabrizio Paoletti.
Tra la tombola, il liscio e le zanzare, in un ambiente disteso ed amicale, assisto al dibattito e sono colpito in particolar modo dalle analisi di Stefano Ciccone, dell’associazione Maschile plurale.
Il suo punto di vista è quello del polo U, uomini, nella relazione uomo-donna: vuole parlare dei, per e con gli uomini.
L’autocoscienza maschile che propone non è volta a convincere gli uomini a rinunciare ai loro ormai atavici privilegi sulle donne, ed in sostanza su tutti gli esseri viventi, perchè più democratici, più giusti, più “solidali”, ma perchè questi privilegi sono pagati ad un prezzo che un uomo forse potrebbe scoprire di non poter più permettersi.
Fa l’esempio del nonno, nella sua famiglia di origine contadina, che mangiava seduto a tavola mentre le donne stavano in piedi, che era temuto da tutto il nucleo parentale e che non si sarà mai posto il problema del desiderio di sua moglie; del padre che, tornato a casa dal lavoro, si metteva in poltrona e nessuno poteva disturbare il suo “riposo del guerriero”.
Figure autoritarie che vede come estremamente sole, sole con il loro potere, con cui non cambierebbe la sua posizione di uomo che deve invece fare i conti con le relazioni, rispetto al partner od ai figl*.
Uomini che hanno il ruolo indiscusso di capo, che “scorrazzano nella prateria come John Wayne”, versus uomini che accettano di perdere “pezzi di potere” in cambio di libertà.
Libertà di vivere meglio il proprio corpo e la propria sessualità, che non deve essere più solo e soltanto lo sfoggio virile della eterosessualità a tutti i costi; libertà di sentire ed avere emozioni che si possono manifestare, come il pianto, la tenerezza.
Passare “dall’uomo che non deve chiedere mai” all’uomo cosciente di essere dipendente, come tutt* lo siamo, dagli altr*.
Il polo D, donna, in tutto questo, non deve essere considerato la parte debole della relazione, quella da proteggere paternalisticamente, da rispettare in virtù dell’autocontrollo che l’uomo virile sa esercitare sulla propria forza e sui propri istinti, ma deve essere vista come una voce autorevole, a pari livello, che ha la completa capacità di gestione sulla propria esistenza e sulle proprie scelte.
Quindi critica quel modo di fare prevenzione o discussione sulla violenza di genere di tipo “protezionista”, quel modo che per me è perfettamente incarnato dal modus dicendi: “Le donne non si toccano neanche con un fiore”.
Applausi e poi, ecco, si materializza, ad opera di un ingenuo compagno di partito delle organizzatrici, che certo non voleva offendere nessuno, la dedica floreale per il “sesso debole”.
Sono chiamato sul palco, lo raggiungo con una rosa in mano, anch’io l’ho pretesa!
Si è appena parlato di abbattere lo stereotipo, ed ecco che subito le donne presenti si sentono obbligate ad accettarlo, veicolato da quel fiore, e pure ringraziano e sembrano felici.
“Perchè non hanno offerto a tutt* le rose, anche agli uomini presenti?” dico io “Chi ha deciso che ad un uomo non farebbe piacere ricevere un fiore e che ad una donna debba essere comunque gradito?”
Abbattiamoli questi stereotipi, visto che ne stiamo parlando da una sera.
Questa rosa è il simbolo del protezionismo che l’uomo magnanimo pensa di dover esercitare sulle donne, ma le donne, come gli animali altri da umani, non hanno bisogno di essere protette da un essere che si crede responsabile perchè superiore.
Siamo stanch* dei buon pastori, non vogliamo più essere il gregge dell’uomo bianco eterosessuale.
La questione è tutta giocata sul potere, il maschio ha il potere, ed avere il potere è bello, è comodo.
La vita è più facile con lo scettro del potere in mano invece che una “stupida” rosa.
I maschi a volte raccontano di quanto sia dura e stressante avere tutta la responsabilità, fare tutte le scelte che contano, essere sempre là fuori nella mischia, per combattere e portare il pane a casa.
Cosa dire allora della donna che lavora tutto il giorno in casa, serve ed accudisce tutt* senza avere un compenso, niente che la possa fare sentire autorevole a livello sociale; e quando anche la donna lavora, fa due lavori, dentro e fuori casa, ma il suo lavoro conta sempre meno di quello del compagno, di quello degli uomini, e deve anche sentirsi in colpa, perchè magari non ha il tempo che crede necessario per i figl*, perchè la casa non è perfetta, perchè non è abbastanza seducente.
La maggior parte del potere, in Italia, è nelle mani degli uomini, sia all’interno delle famiglie sia e sopratutto nella res publica, dove tutto ciò che è legato alle quote rosa è ridicolo.
In questo scenario, quale uomo vorrebbe abbandonare il suo potere?
Io capisco questo perché da trans ho un doppio sguardo sui generi, sono uomo e sono stata donna, e tutto questo l’ho vissuto sulla mia pelle.
E sono delle parole che la mia compagna, donna trans, mi disse quando ci siamo conosciuti, che mi fanno capire quale potrebbe essere il guadagno degli uomini nel cambiamento.
Mi disse che lei, in quanto nato uomo, si sentiva prigioniera, ma non solo del suo corpo, ma sopratutto del suo genere, che riteneva claustrofobico. “Le donne hanno molte più possibilità” mi diceva, “possono vestirsi in tanti modi, acconciarsi in tanti modi, scegliere di fare o non fare tante cose, mentre dall’uomo ci si aspetta sempre lo stesse cose”.
L’uomo deve essere forte, deve fare il lavoro più faticoso per dimostrare la sua potenza fisica, deve prendere la responsabilità di mantenere la famiglia, non può starsene a casa se lo desidera, deve avere sempre un certo ruolo sociale.
Quindi, come diceva Stefano Ciccone, barattare pezzi di potere con pezzi di libertà.
Gli uomini saranno meno potenti, meno despoti, meno signori del creato ma più liberi di ascoltarsi, di decidersi, più vicini a se stessi.
Fantasia al potere, quindi, come si diceva tanto tempo fa, anche per gli uomini, per scoprire tanti tipi di mascolinità possibile, ed ecco l’importanza dello sguardo queer, transessuale, per decostruire la mascolinità che non è affatto un dato naturale ma imposto, anche agli uomini.
La foto è quella della campagna europea contro le mutilazioni genitali femminili.