Identità delegittimate: seconda lettera aperta al Corriere della Sera
Lettera aperta in risposta ad un articolo del Corriere della Sera
di Daria Campriani e Storm Turchi
Gentile Luigi Ippolito,
siamo un gruppo di persone che lavora nell’ambito delle discriminazioni di sesso/genere, etnia, orientamento sessuale, identità di genere, e questioni intersex (relative cioè a persone che nascono con caratteristiche di sesso cromosomico, gonadico e/o anatomico, atipiche).
Ci ha molto colpito il Suo articolo dove ricorda l’iniziativa svolta da due femministe TERF (acronimo che sta per Trans-Exclusonary Radical Feminists, cioè: Femministe Radicali Trans-Escludenti) inglesi, Amy Desir e Hannah (quest’ultima per ragioni di privacy ha preferito mantenere l’anonimato circa il suo cognome); iniziativa che viene meglio descritta in questo articolo.
Brevemente: le due giovani attiviste TERF per dimostrare i pericoli derivanti dalla libertà delle persone di esprimere liberamente il proprio genere, si sono vestite con abiti maschili, pur identificandosi come donne, e si sono recate presso una piscina pubblica chiedendo di poter accedere agli spogliatoi dei maschi, dicendo appunto di identificarsi come uomini.
Lei afferma che loro:
“... si «identificavano» come uomini e così protestavano contro l’idea, appoggiata anche dal governo, che il sesso di una persona non sia una questione biologica ma di autopercezione.”
Come accennato prima, le due attiviste non si identificavano affatto come uomini; hanno impersonato due persone transgender parodiando l’essere transgender per scopi politici.
Per le persone transgender, la cui identità di genere sia liberamente espressa, non si tratta di fingersi qualcun altro, ma di esprimere chi si è: si tratta quindi di un bisogno intrinseco.
Se il governo decidesse da domani, come fa per ogni neonato, che Lei è femmina anziché maschio e glielo imponesse, Lei sceglierebbe di esprimere la sua identità di genere o si adeguerebbe alle richieste?
Mi sembra evidente che qui la parola “sesso” sia inflazionata di significati, nel senso che viene confuso: il sesso biologico, l’identità di genere, l’espressione di genere e le aspettative/convenzioni sociali. Ma sono quattro aspetti dell’identità di una persona diversi tra loro e che è bene tenere distinti. Intanto il sesso biologico attiene al corpo e non è sinonimo di “genere”; è la società che in base alla forma che hanno i genitali di una persona, attribuisce un “genere” sociale che chiama sesso, costituito di ruoli, aspettative, percorsi di vita ed espressione di sé, che possono non avere niente a che fare con il genere nel quale la persona si è identificata. Continuare a pretendere che una persona sia i genitali che ha, negando che la persona possa essersi identificata in un altro genere, significa negare che la realtà transgender esista, quindi negare dignità alle persone transgender.
La tutela della dignità della persona transgender, d’altra parte è stabilita dall’art 3 della nostra Costituzione, che dice:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
In questo articolo si fa principio fondamentale la necessità di rispettare le diversità, tutelando l’autodeterminazione delle persone, che Lei, nel suo pezzo, mostra di confondere con la libertà di scelta di una persona. Principio di autodeterminazione significa che ciò che una persona è, può essere espresso unicamente da quella persona, e solo quella persona può decidere cosa fare del proprio corpo e modificarlo, come avviene regolarmente per le persone cisgender che si sottopongono a chirurgie estetiche. Non è possibile pretendere dall’esterno di attribuire un genere a qualcuno una volta per tutte, solo sulla base della (presunta) forma dei suoi genitali, senza tenere in considerazione le esigenze dell’individuo stesso quando sarà in grado di esprimersi sulla propria identità di genere.
Più avanti Lei afferma:
“La querelle può apparire bizzarra ma da un po’ di tempo oppone in maniera furiosa le femministe agli attivisti transgender: questi ultimi rivendicano il diritto per tutti di cambiare sesso a piacimento, le prime difendono gli spazi conquistati dalle donne dall’invasione di «finte femmine».”
Intanto non esiste nessuna querelle: esiste invece una buona fetta di persone e uno zoccolo duro di sedicenti femministe che continuano a ridurre le persone ai propri genitali quando non è così. Nessuno nega che per molte persone il corpo che hanno corrisponda alla loro identità di genere, ma il contrasto è nato per ragioni politiche, ed è un contrasto che vede le TERF in forte opposizione ai diritti delle persone transgender, non il contrario. Nessuna donna transgender si oppone ai diritti delle donne cisgender; sarebbe una contraddizione. Quindi anche il suo riferimento alle ‘finte femmine’ non è alla fine altro che un’offesa gratuita: ci sono donne che non hanno una vagina, e non è né corretto né rispettoso appellarle al maschile.
Ancora più avanti dice:
“Amy e Hannah avevano addirittura annunciato via email le loro intenzioni ai responsabili della piscina. Che in un eccesso di politicamente corretto hanno replicato che «ogni cliente è libero di usare gli spogliatoi che ritiene necessari.”
Non è una questione di correttezza politica: è una questione di autodeterminazione, che in paesi come il Regno Unito è prassi grazie anche all’Equality Act 2010 che impedisce di discriminare le persone transgender, al contrario dell’Italia dove non esiste una legge contro l’omotransfobia. Se un comportamento è lecito quando lo fa qualcuno, mentre non è più lecito se lo fa qualcun altro, allora è in atto una grave limitazione della libertà personale. Se io posso fare una certa cosa, che una altra persona non può fare, io sono libera, l’altra persona no; poco importa che la discriminante sia in base al colore della pelle, all’appartenenza ad una classe sociale, alla propria cittadinanza, alla forma che hanno i genitali, o all’identità di genere.
Un ultimo punto su ciò che ha scritto, in particolare sulla proposta del governo inglese di poter modificare il nome e il genere sui propri documenti mediante una semplice autocertificazione:
“Un’idea che ha attirato critiche soprattutto da parte delle donne, che temono che uomini malintenzionati possano introdursi in questo modo in spazi femminili. Era infatti già accaduto che uomini trans invadessero il laghetto del parco di Hampstead tradizionalmente riservato alle bagnanti femminili.”
Ancora una volta induce a pensare che una persona che è nata con un corpo biologico maschile non possa avere una identità di genere femminile, ma nelle sue affermazioni c’è di più. Come ha mostrato il criminologo Stanley Cohen, nel suo libro “Folk, devils and moral panics”, ciò che si va via via intensificando è il discredito che viene gettato verso una certa categoria di persone; dapprima insinuando che queste persone non siano autentiche, nell’affermazione e nel vissuto della loro identità; poi insinuando che le persone transgender siano un problema per le identità femminili; infine che siano pericolose per la collettività.
Questa escalation di insinuazioni favorisce nell’opinione pubblica il “panico morale” e produce e rinforza avversione per le persone transgender.
È venuto anche il momento di sfatare che luoghi pubblici quali piscine o bagni siano luoghi dove si registra una prevalenza di assalti alle donne, ammesso che se ne registri alcuno. Se ci fossero stati episodi del genere avrebbero sicuramente guadagnato le prime pagine dei giornali, visto come certa stampa strumentalizza l’essere trans come mancanza di autenticità.
Le statistiche ci mostrano invece che la violenza nei confronti delle donne avviene prevalente tra le mura domestiche e per mano di persone conosciute (il partner, ex partner o altri parenti e familiari). Ci mostrano anche che le donne trans sono spesso vittime di violenza piuttosto che autrici della stessa. Non va dimenticato che in Italia abbiamo il triste primato europeo delle persone trans uccise.
Alla luce di tutto questo, ci sembra doveroso chiederLe un maggior rispetto per le persone transgender, transessuali e non binarie. Proprio per il grande seguito che il quotidiano per cui scrive ha e la presa sul grande pubblico, chiediamo che in futuro l’attenzione che dovesse volgere verso le persone transgender sia di tutt’altro tipo, sia cioè in linea con gli ideali di libertà, eguaglianza e giustizia sociale che informano la nostra società; oltre che essere all’altezza del nome che porta il giornale per cui lavora.