Femmina, maschio e non solo
in Asilo Politico – Nuovo Corriere di Firenze, 17 Novembre 2011, p.2-3.
L’Italia è un paese in un cui le disuguaglianze sostanziali tra donne e uomini in termini di risorse materiali e simboliche, gestione del potere politico ed economico, opportunitĂ e anche libertĂ , sono ancora molto forti, talora visibili e dirette, talora indirette e quasi impercettibili (e per questo piĂą difficili da contrastare). Se in pochi ormai pensano che tali disuguaglianze – che vedono generalmente gli uomini in situazioni di privilegio – siano funzionali al sistema o “naturali” e determinate da diversitĂ biologiche, la maggioranza delle persone invece dĂ ampiamente per scontato che i sessi siano soltanto e unicamente due, e che siano chiaramente e facilmente distinguibili in “femminile” e “maschile”.
Eppure i corpi delle persone intersessuali e i loro cromosomi sessuali, e/o le loro variazioni ormonali, ci indicano che la varietà umana è molto più ricca rispetto al sistema duale di sesso/genere. E ci dicono anche che il binarismo sessuale non riesce a comprendere questa ampiezza e varietà biologica, ma la rifiuta. E nel rifiutarla la patologizza, anche laddove non vi sono disfunzioni e patologie, e la invisibilizza cercando di “normalizzarla” e indirizzarla verso il femminile o il maschile fin dalla tenera età con trattamenti chirurgici invasivi e non necessari per la salute e per il benessere del bambino.
Le pratiche di medicalizzazione degli infanti e dei bambini con atipicità genitale, analizzate già da decenni fuori dal contesto italiano, mettono in luce la costruzione socio-culturale e sistemica del dimorfismo sessuale, l’arbitrarietà delle categorie dicotomiche condizionate dall’eteronormatività e dall’eterosessismo, e la riduzione della persona e della sua identità di genere a organo sessuale.
L’atipicità genitale viene corretta chirurgicamente e con somministrazione di ormoni in modo tale che si trasformi e si conformi alla dicotomia di genere costruita e spacciata per unica e “naturale” (così da renderla culturalmente indiscutibile), mentre la varietà biologica esistente viene piegata al dimorfismo sessuale, con gravi conseguenze e sofferenze prima di tutto per le persone che la subiscono sulla propria pelle.
Sono proprio le persone intersessuali che dagli anni Novanta hanno iniziato a far sentire la propria voce, testimoniando gli umilianti e dolorosi effetti di lungo termine della chirurgia precoce e chiedendo di essere rispettati e accettati; lottando per il cambiamento dei protocolli medico-chirurgici, per la cessazione degli interventi “normalizzanti” sui bambini e per il diritto al consenso informato. Rispetto all’interventismo tipico della seconda metà del secolo scorso, dunque, qualcosa sta cambiando; la Commissione di San Francisco sui Diritti Umani nel 2005 valutava che l’omofobia, la transfobia e l’eterosessismo sono forti forze sociali che contribuiscono ai processi decisionali per la riassegnazione del sesso e del genere nei bambini intersex. E ancora Frader, bioeticista e pediatra, l’anno prima scriveva: “La medicina può riflettere i comuni pregiudizi sociali o può aiutare la società a sviluppare la tolleranza e il riconoscimento della diversità umana. Noi sottoscriviamo la seconda”.
Ecco allora che guardare il mondo da una diversa e ancora inusuale prospettiva, quella delle persone intersex giustappunto, ci può aiutare a mettere maggiormente a nudo la diffusività e pervasività di strutture culturali e di potere che incidono sui diritti di tutte le persone , limitandoli, e sulla libera autodeterminazione di ciascuno, a partire dal disciplinamento dei corpi sessuati, degli orientamenti sessuali e delle identità di genere.