Femidom, questo sconosciuto.
Fonte comunicazione di genere 1 Dicembre 2012
L’aids è una malattia sociale. Non colpisce solo il corpo di una persona, colpisce la vita, la considerazione sociale, la storia personale. A differenza di altre malattie altrettanto difficili, invece di compassione e premure, spesso sapere che una persona è sieropositiva o malata di AIDS non comporta che paura, diffidenza, discriminazione. L’AIDS è la malattia delle puttane, dei froci e dei tossici, di quelli che se la sono cercata. Tanto che ancora oggi c’è chi deve sentire il bisogno di dover contrastare vere e proprie superstizioni: non si può bere dallo stesso bicchiere di un sieropositivo, è pericoloso baciarsi…
L’unico metodo contraccettivo che protegga al 100% dalle malattie (salvo rotture), si sa, è il preservativo. Incubo di molti uomini che si sentono costretti e stretti da quel cappuccio di lattice e non riescono a godersi l’atto sessuale. E non lo mettono perché sennò non sentono. Perché sennò non godono. Perché sennò.
Se la coppia è etero, in molti casi la donna volente o nolente utilizza la pillola (il 16,2% delle donne tra i 15 e i 44 in Italia la usa ), dispensatrice di libertà sessuale, capace di proteggerci però solo dalle gravidanze e intossicandoci anche un po’. Se più di 100 milioni di donne nel mondo la usano è proprio perché grazie alla pillola anticoncezionale è stato possibile sdoganare almeno in parte una sessualità responsabile verso il proprio corpo dalle dirette dipendenze della volontà maschile. L’impatto socio culturale della contraccezione femminile fu infatti talmente poderoso da rivoluzionare spesso i ruoli di genere tradizionali, permettendo alle donne scelte autonome sulla propria vita familiare e sentimentale.
Preservativo o pillola. Al massimo un cerotto, un anello vaginale. Per le più stabili, l’instabile ogino. In poche conoscono un’alternativa seria, capace anche questa di una piccola rivoluzione. Il Femidom, preservativo femminile. Anche questo ha avuto una sua giornata internazionale, il 12 settembre, necessaria secondo la LILA ( Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS ) per informare su un dispositivo medico ancora misterioso, ignorato dalla maggior parte dei ginecologi e delle strutture sanitarie.
Il preservativo femminile nasce nel ’93, arriva nel ’97 in Italia, ma ha una distribuzione più massiccia solo da pochi anni. Due anelli flessibili e una guaina di 17 cm da inserire nella vagina anche ore prima del rapporto, assicura quindi contemporaneamente di non interrompere la spontaneità dell’atto sessuale e di svincolarsi dall’egoismo di un partner che non vuole usarlo.
Controindicazioni? Il prezzo. Anche due euro l’uno. Troppo alto, perché poco richiesto (ma disponibile gratuitamente presso le sedi LILA, come i condom maschili).
Suo parente è il Dental Dam (fazzoletto di lattice) strumento di prevenzione durante il rapporto orogenitale. Utile ovviamente per uomini e donne di ogni orientamento sessuale, è questa tra l’altro una delle poche protezioni cui donne lesbiche e bisessuali possono fare ricorso per proteggersi da possibili infezioni.
In Italia solo nel 2010 sono stati registrati mille nuovi casi, la metà dell’anno precedente, ma che si uniscono a un totale di 160mila persone sieropositive e 20mila malati di AIDS. Françoise Barré-Sinoussi, premio Nobel per la medicina per la scoperta del virus dell’HIV, facendo il bilancio sull’avanzamento della ricerca sulla cura dell’AIDS al congresso di Roma, loda le nuove terapie possibili , ma sprona a una prevenzione consapevole e a fare il test HIV.
Divulgare la cultura della contraccezione autonoma e indipendente dal partner e la necessità del test HIV anche tra i medici, passa anche per la diffusione del femidom e delle nuove formulazioni di microbicidi, responsabilizzando le donne quali soggetti attivi e determinanti della scelta sessuale.