Dieci cose che è utile sapere a proposito della prostituzione
di Giorgia Serughetti su Donneuropa
Il saggio di Giulia Garofalo Geymonat “Vendere e comprare sesso” analizza il fenomeno a 360°. E ricorda che non si può prescindere dal problema di come contrastare i fenomeni di tratta e sfruttamento che colpiscono in particolare le persone migranti
Periodicamente si riaccende la discussione politica su come regolare il fenomeno della prostituzione: legalizzare il commercio sessuale? Proibirlo? Ogni soluzione fa insorgere agguerriti schieramenti di persone favorevoli e contrarie, tra le donne ma non solo. Il punto però è: cosa sappiamo della prostituzione? Siamo in grado di formarci un’opinione informata su un tema così controverso? La risposta, se dobbiamo guardare al panorama dell’informazione di massa, è: faticosamente. I pregiudizi tendono quasi sempre ad avere la meglio sulla conoscenza.
C’è un libretto, edito da poco da il Mulino, che offre un aiuto prezioso per orientarsi in questa materia spinosa e “farsi un’idea”, come promette il titolo della collana che lo propone: si tratta di Vendere e comprare sesso, di Giulia Garofalo Geymonat. L’autrice è una ricercatrice che da molti anni si occupa di studiare il mercato del sesso, e confessa fin dall’inizio che qui ci troviamo di fronte a “quanto di più sfuggente si possa immaginare, difficile da osservare, forse impossibile da capire fino in fondo – perfino se lo si frequenta”. Il volume però è di rara chiarezza, e vorrei raccontarlo in dieci punti: dieci cose che è utile sapere sulla prostituzione.
1) Che cos’è la prostituzione? Non basta a definirla il fatto che il sesso abbia una contropartita materiale o di altro genere, cosa che riguarda anche le figure della “protetta” o in alcuni casi dell’“amante”. È prostituzione, lavoro sessuale, quando una “donna (o uomo o persona trans) sollecita esplicitamente denaro o bene materiale definito, o viceversa il suo (o sua) partner (che diventa allora cliente) offre esplicitamente denaro o bene definito in cambio di un altrettanto chiaro servizio sessuale”. Chiarezza dello scambio, quindi. Ma c’è qualcos’altro che accomuna tutte le persone che lavorano nel mercato del sesso, ed è lo stigma della prostituzione, ovvero “quell’insieme di opinioni, comportamenti, leggi che isolano, discriminano e puniscono chiunque scambi il proprio lavoro sessuale in maniera esplicita in cambio di denaro”.
2) Chi vende e chi compra sesso? Un po’ di numeri. In Europa le/i sex worker sarebbero 1-2 milioni. In Italia le stime sulle persone che si prostituiscono si aggirano fra 50.000 e 100.000: circa la metà lavora al chiuso, l’altra metà in strada. Tra le/gli street worker, l’80% è costituito da donne, il 15% da persone trans e il 5% da uomini. Il 10% del totale si stima abbia meno di 18 anni. Dal lato della “domanda” troviamo invece stime che oscillano tra 2 milioni e mezzo e 9 milioni di clienti per l’Italia, 40 milioni per l’intera Europa.
3) Passiamo alla storia. Il “mestiere più antico del mondo” non è affatto sempre esistito nelle forme che conosciamo. Ed è stato molto diverso, nei secoli, anche il modo in cui i poteri pubblici hanno trattato il fenomeno: tollerandolo, proibendolo, confinandolo, controllandolo… L’attuale legge italiana, voluta da Lina Merlin che le ha dato il nome, è erede della stagione storica dell’abolizionismo che dalla seconda metà dell’Ottocento ha contestato e abbattuto in molti paesi il sistema delle “case chiuse”, che prevedeva l’obbligo di registrazione per le prostitute, i controlli sanitari, l’ospedalizzata forzata in caso di malattie.
4) Ma anche la normativa abolizionista ha mostrato nel tempo le sue contraddizioni. Dal 1982, il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute denuncia gli abusi che subisce chi lavora nel mercato del sesso e i paradossi prodotti dalla legge, come il fatto che “una sex workerè direttamente punibile se lavora con altre colleghe, se si fa pubblicità, se impiega una segretaria. È inoltre facilmente sfrattabile da casa propria (in particolare, ma non solo, se ci lavora), ricattabile se ha anche un altro lavoro e costretta a una doppia vita se vuole evitare che le siano tolti i figli, o che suo marito venga incriminato”.
5) L’Italia è poi quel paese in cui ad ogni legislatura viene depositato in Parlamento almeno un nuovo progetto di legge sulla prostituzione, e in cui nessun progetto arriva in discussione. Dal 1958 non è stata mai dibattuta né approvata nessuna riforma della legge Merlin.
6) Nel frattempo, in Europa e nel mondo, si sono andate delineando due grandi alternative. Uno è il modello “neo-proibizionista” adottato dalla Svezia, e poi da Norvegia e Islanda, verso cui pende oggi anche il favore del Parlamento Europeo. È un sistema contestato dai movimenti delle/i sex worker perché, mentre dichiara di voler proteggere chi si prostituisce punendo chi compra i suoi servizi (il cliente), in realtà “provoca non la contrazione dell’industria, ma piuttosto un aumento della vulnerabilità delle sex worker”. Gli effetti sono quelli, conosciuti, della criminalizzazione tout court: “aumento della violenza e degli abusi verso le sex worker, aumento dell’incidenza di Hiv/Aids e malattie sessualmente trasmissibili fra sex worker e in tutta la popolazione sessualmente attiva, aumento della prostituzione forzata e minorile, e generale peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita delle sex worker”.
7) L’altro modello è il “neo-regolamentarismo” di Olanda, Germania e Svizzera, che legalizza i bordelli stabilendo regole e garantendo diritti per chi lavora nel mercato del sesso. Anche questo presenta però dei limiti, secondo l’autrice, il più grande dei quali è il fatto che in molti casi “le sex worker che non hanno la cittadinanza europea sono obbligate a lavorare nel sommerso”, perché non hanno permesso di soggiorno.
8) C’è poi, fuori dall’Europa, un modello che convince molti di coloro che, “pur critici dei modelli di legalizzazione sperimentati da Olanda e Germania, sono attenti ai diritti delle e dei sex worker”: quello neozelandese. Secondo Giulia Garofalo Geymonat, la Nuova Zelanda è stato l’unico paese a seguire il principio “banale eppure rivoluzionario” secondo cui è impossibile difendere le persone che si prostituiscono senza una loro diretta partecipazione alle decisioni.
Qui le cooperative e le piccole imprese autonome di lavoro sessuale non necessitano di licenze e permessi formali, che invece sono obbligatori per i grandi business. In questo modo, si manifesta “la volontà di favorire le imprese indipendenti e cooperative, dove le sex worker hanno un maggiore controllo del proprio lavoro”.
La prostituzione non è vietata in nessun luogo, secondo l’idea di fondo che qualunque forma di criminalizzazione (della prostituzione adulta e consenziente) rende le prostitute più vulnerabili. “Le risorse pubbliche sono invece investite nel sostegno attivo delle iniziative – il più possibile delegate ad associazioni specializzate – di mediazione del conflitto, prevenzione e cura sanitaria, lotta allo sfruttamento, alla violenza e alla prostituzione forzata e minorile”.
9) Nessuna discussione pubblica sulla prostituzione può infatti prescindere dal problema di come contrastare i fenomeni di tratta e sfruttamento che colpiscono in particolare le persone migranti.
E qui bisogna fare attenzione, perché il rischio è che i sistemi antitratta finiscano in realtà per danneggiare proprio le persone che intendono proteggere. Ad esempio in Inghilterra, Svezia, Germania, una volta che una persona è stata identificata come vittima di tratta, viene sì accolta e protetta durante il processo contro i propri trafficanti, ma alla conclusione del procedimento viene rimpatriata, “riaccompagnata cioè a casa, nel paese da cui proviene, dal quale voleva però andarsene, e dove la aspettano tutti i problemi che ha lasciato, ma anche, probabilmente vendetta, violenza e stigmatizzazione legata al precedente fallito progetto migratorio e al lavoro sessuale”.
10) La normativa italiana sulla tratta, invece, ricorda l’autrice è “discussa come buona pratica in tutto il mondo”. Il modello italiano fa i conti con la realtà dei progetti migratori delle vittime di tratta, che vorrebbero restare: la sua originalità sta nel fatto che le vittime, anche senza denunciare gli sfruttatori, possono ottenere un permesso di soggiorno per protezione sociale convertibile in permesso di lavoro o di studio, sono sostenute nella ricerca del lavoro e inserite in un percorso di migrazione legale. Abbiamo dunque almeno una certezza: non toccare l’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione che ha reso possibile tutto questo. Piuttosto, puntiamo a rendere il più possibile efficaci gli interventi, con finanziamenti adeguati.
C’è però una questione che solleva Giulia Garofalo Geymonat in questo agile ma esaustivo lavoro di informazione, ed è una domanda che merita l’attenzione di ciascuna e ciascuno, qualunque sia la posizione in merito alla prostituzione: “È giusto continuare a cercare di cambiare le cose alienando le persone stesse, le sex worker, dalla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento che avvengono su di loro”?.
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