Della Transfobia e di Altri Demoni Femministi
Della Transfobia e di Altri Demoni Femministi
recensione di Laura Scarmoncin del libro Piccola principe di Daniela Danna
Cercherò di continuare a mantenere la calma. Calma che è, forse, l’attitudine perduta nel feroce, apocalittico “dibattito” – fatico a chiamarlo tale – in corso nel mondo lgbtiq italiano su GPA (gestazione per altri, maternità surrogata, o l’indecente definizione di “utero in affitto”), lavoro sessuale e transessualità, a cui Daniela Danna prende parte, con questo libro e altri, entrandovi a gamba tesa; ma non è qui il male.
Il libello-esortazione tratta la questione della transessualità infantile e adolescenziale, il fatto innegabile che sempre più soggetti minorenni, nel mondo occidentale, decidano di accedere a cure ormonali per bloccare il proprio sviluppo sessuale puberale, non riconoscendosi nel sesso/genere assegnato loro alla nascita. Un fatto che ha giustamente ravvivato interrogativi complessi, dal problema della medicalizzazione a quello dei diritti dell’infanzia.
Ammiro Daniela. E’ un’intellettuale – una sociologa – molto capace e creativa. É anche una militante lesbofemminista indefessa e combattiva. Il fatto che io mi trovi spesso in disaccordo con le sue posizioni non la elimina dall’orizzonte delle persone con cui voglio instaurare un dialogo accorto e riflessivo, difendendo, contro gli schieramenti ideologici autoreferenziali, quella complessità di sguardo che solo lo scambio può generare.
Ma questo libello mi ha raggelata, per contenuto e stile, e sono arrivata a pensare che sia davvero necessario che la sua voce venga arginata, nel pubblico, perché ciò che dice non è solo sbagliato, ma anche e soprattutto dannoso per le esperienze, le vite, la politica delle persone trans* – che è affare anche di chi trans* non è.
Questo è un libro dai presupposti transfobici che sostiene una visione transfobica, plain simple.
Non è questione di censura, ma di dar voce a una contronarrazione decisa e autorevole, collettiva e polifonica, per smascherare e depotenziare il discorso di Danna e delle persone che lo condividono (siano destrorse o femministe).
Farò la mia piccola parte, anche qui, procedendo per punti. Solleverò solo alcune critiche tra le molte possibili, in un certo senso più metodologiche che di sostanza.
1) Danna si rivolge alle “giovanissime”, e lo fa con un’impostazione marcatamente paternalistica.
Il nodo della trasmissione generazionale del e nel femminismo non è mai stato veramente sciolto (non in Italia), ma si è giunte quantomeno a trasformarlo in dialogo, interrompendo il monologo delle “vecchie guardie” e dando visibilità alle giovani e alle loro specifiche istanze.
Danna invece performa un “voi” incosciente e inconsapevole: un tropo dal sapore stantio e amaro, che sottrae agentività alle giovani generazioni, proiettando su di esse l’ombra silenziante della “falsa coscienza”.
E’ bene ricordare come la questione trans* sia presente e sonora proprio nei femminismi più giovani – si parla infatti di “transfemminismi” – mentre è del tutto assente se non apertamente avversata in quelli storici, di cui Danna è parte, senza però riconoscerne la parzialità.
L’operazione di Danna è dunque manipolatoria.
2) In questo libro Danna parla di transessualità, ma del tutto assenti sono le voci delle persone trans*, così come le loro esperienze esistenziali e politiche. E questo è un fatto grave.
L’usurpazione della parola agita sulle e contro le soggettività minoritarie è anch’essa un tropo paradigmatico, che marca la storia dei rapporti di potere tra gruppi stigmatizzati e gruppi stigmatizzanti, e come tale è anche parte della memoria storica delle comunità lgbtiq: come non ricordare, per fare un esempio, i convegni di psichiatri e medici sull’omosessualità nei primi anni ’70, contro i quali si coagulò e di fatto nacque un movimento di liberazione omosessuale anche nel nostro paese, con l’intento, tra gli altri, di acquisire la parola politica e sociale su di sé e le proprie esistenze per interrompere il monologo omofobo degli eterosessuali?
Che Danna pretenda di rappresentare, spiegare e giudicare il fenomeno transessuale e transgender senza integrare al suo parziale punto di vista le esperienze e le voci delle persone trans* è espressione, materializzazione e abuso di un privilegio che mette in atto strategie di silenziamento, depotenziamento e mistificazione – che in questo libro arrivano a definire l’esperienza trans, nell’ordine: inesistente, erronea, dannosa – inaccettabili sia da un punto di vista scientifico sia da un punto di vista politico.
3) Il linguaggio usato da Danna nel testo è, al solito, chiaro e diretto. Ma c’è una differenza cruciale tra semplicità e semplificazione, e in tale differenza risiede la cifra etica di chi scrive.
Dietro il manto di una scrittura discorsiva e colloquiale, Danna banalizza e sembra persino deridere questioni esistenziali e politiche come il transessualismo e il transgenderismo (ma non solo), squalificandone così il rilievo e il portato; altrove, adoperando un linguaggio riduttivo ma ad effetto, manipola la complessità di queste stesse questioni in un torbido giudizio di valore, capace di – e allo scopo di – non discutere il pregiudizio, bensì di rafforzarlo per tirare acqua al proprio mulino.
Non è questa la modalità narrativa con cui affrontare e discutere fenomeni che hanno, nella coscienza collettiva, gravi stratificazioni di ignoranza e stigmatizzazione. Il risultato della scelta stilistica di Danna è semplificante, non chiarificatore; manipolatorio, non riflessivo.
Ci sono molte altre questioni, stavolta più di sostanza, sollevate o lasciate apparentemente in sordina in questo libello che meritano una critica lucida e oppositiva. Alcune di esse sono la reiterazione ideologica di una gerarchia dell’oppressione, la negazione del privilegio – persino dell’espressione politica – “cisgender”, la de-soggettivizzazione delle persone minorenni, il riduzionismo fuorviante delle cosiddette teorie post-strutturaliste e queer, la confusione tra orientamento sessuale e identità di genere, il marcato essenzialismo biologista – e chissà cos’altro, dal mio sguardo limitato, non ho saputo cogliere.
Ma il dato di fondo di questo testo è una nemmeno troppo malcelata transfobia.
Nascosti dietro la giusta problematizzazione di un fenomeno complesso come la transizione in età prepuberale, il rifiuto e la stigmatizzazione delle esperienze trans* è il fil rouge che sostiene ogni riflessione di Danna – accusa a cui Danna ribatte nel libro stesso, in una sospetta mossa preventiva, definendo l’attivismo trans* “dogmatico” e “aggressivo”, delegittimandone così le istanze, tra cui spicca, appunto, la critica e la lotta alla transfobia.
Come ho detto, reputo che il “dibattito” in corso nel mondo lgbtiq su questa ed altre questioni spesso scada nell’autoreferenzialità e nella violenza, perdendo di vista la possibilità di uno scambio accorto su questioni per nulla lineari e semplici – motivo per cui sinora non vi ho preso parte in modo pubblico, preferendo scambi privati.
La lettura del libro di Danna mi ha posto domande cruciali anche in merito al mio privilegio di persona cisgender, non da ultimo sulla possibilità di scrivere questo breve intervento. La risposta come mi sono data è che la transfobia mi interpella in modo specifico e differente rispetto alle persone trans*, ma che questa differenza non giustifica in alcun modo il mio silenzio, che sarebbe una forma di connivenza.
La gravità delle posizioni esplicitate da Danna richiede una presa di parola corale, ponderata e sostenuta da tutta l’intelligenza esistenziale e politica che abbiamo guadagnato nelle nostre lotte comuni in quanto persone lgbtiq+e.
Laura Scarmoncin Laureata in Storia delle Donne e Storia Americana e specializzata in Studi sul Genere e la Sessualità, dopo un decennio di accademia – tra Italia, Francia e Stati Uniti – ha deciso di cercare di reinventarsi nel mondo del lavoro italiano, per ora con poco successo. Traduttrice freelance, è attivista femminista e lgbtiq. Ancora in esilio in Veneto, presto partirà per lidi migliori.
Tra le sue pubblicazioni: Femminismo porno punk. Altri sguardi su sessualità, corpo e libertà, Genesis XI/1-2 (2012); Gli studi lgbtiq in Italia. Uno sguardo multidisciplinare, (a cura di), Contemporanea 15/4 (2012); Genere, Precarietà e Neoliberismo. Orizzonti Speculativi dei Femminismi Italiani, in A. Verrocchio e L. Salmieri (a cura di); Di condizione precaria. Sguardi trasversali tra genere, lavoro e non lavoro, EUT (2016).
Vlad
per me è importante dire che identità di genere e ruolo di genere non coincidono, e una donna resta tale a prescindere dal ruolo o dai ruoli di genere in cui si riconosce.
Danna vive nel terrore che qualcuno decida di dare ormoni maschili o bloccanti a una bambina solo perchè non vuole giocare con le bambole o dice di voler essere maschio (a volte capita che delle babine lo dicano solo perchè vogliono fare ciò che vedono fare ai maschi non perchè sono trans, lo stesso vale per un bambino che dica “voglio essere femmina”). Qualcuno deve spiegarle che non funziona così e nessuno nega che una bambina resta tale a prescindere dai suoi comportamenti o dal suo look. Ci vuole pieno rispetto per tutte le persone trans