Antispecista, animalista e vegan: vi spiego il loro significato
Intervista di Beatrice Montini per il blog “Veggo anch’io” de’ “Il Corriere della Sera”
“Sono amico della nonviolenza, antispecista e quindi vegano. Penso che la difesa dei diritti umani sia impossibile se non diventa affermazione dei diritti del vivente“.
Lorenzo Guadagnucci, 50 anni, giornalista e attivista (tra i fondatori del Comitato veritĂ e giustizia per Genova e del gruppo Giornalisti contro il razzismo) spiega così nel suo blog le motivazioni che lo hanno spinto a diventare vegano  (era giĂ vegetariano da oltre 25 anni). Al tema ha dedicato anche uno splendido libro, “Restiamo animali”, (titolo anche di una trasmissione radiofonica – di cui è coautore-  in onda da oltre due anni su Controradio). A lui chiediamo di spiegarci il significato di tre parole che sono l’abc del “vivere cruelty free”: vegan, antispecista, animalista.
Partiamo con vegan, una parola ancora dal suono un po’ “alieno”. Come è nata e cosa significa?
E’ una parola coniata con una certa arguzia. Le cronache dicono che la inventò Donald Watson all’epoca della scissione della Vegeterain society britannica e che portò alla nascita, appunto, della Vegan Society. Era il 1944. Watson aveva animato una forte discussione in merito alla questione dei latticini. Fin lì nessuno aveva messo a fuoco il tema. Si era vegetariani in quanto non consumatori di corpi di animali: latte e formaggi non ponevano problemi.
Watson spinse il ragionamento più in là , guardò alla condizione animale nel suo insieme e sostenne che lo sfruttamento di mucche, pecore e capre per ottenerne il latte fosse inaccettabile. Lottò perché la Vegetarian Society, che era un’organizzazione importante, con una forte presenza pubblica, mettesse al bando anche latte e formaggi.
La sua posizione non passò e il gruppo che gli si era raccolto intorno decise di uscire fondare una nuova organizzazione. Nell’inventare il termine Watson spiegò che ve-gan indicava l’inizio (ve) e la fine (gan) del vegetarismo. Era un’affermazione che aveva anche un significato metaforico: in pratica, diceva, lì finiva il vecchio vegetarismo, che rinasceva portando fino in fondo il suo messaggio. I vegani sostengono cioè un’alimentazione al 100% di origine vegetale, realizzando ciò che di primo acchito evoca appunto il vegetarismo, il quale si è però storicamente affermato come un’alimentazione in realtà lacto-ovo-vegetariana, che somma cioè vegetali, uova e latticini.
Si inizia a parlare sempre piĂą di specismo e antispecismo, possiamo dare una definizione e spiegare in breve di cosa si tratta?
Sono concetti nuovi ma che stanno cambiando profondamente il mondo dell’animalismo, sia sul piano filosofico-culturale, sia sul piano pratico, cioè dell’azione concreta. Il concetto di specismo è divenuto di dominio pubblico, almeno nel mondo intellettuale, con la pubblicazione nel 1975 di “Liberazione animale” del filosofo australiano Peter Singer.
Questo libro è stato un punto di svolta. Ha dato un nuovo spessore etico e culturale all’impegno in favore degli animali. Lo specismo è la centralità attribuita dalla specie umana a se stessa: è qualcosa in più dell’antropocentrismo, è una sorta di rivendicazione del diritto a disporre a piacimento dei corpi, delle vite, di individui appartenenti ad altre specie. E’ una visione del mondo che ci è abituale ma che in realtà è molto radicale, e che diventa il metro di misura di ogni scelta politica e morale.
L’antispecismo è una filosofia (ma anche un movimento sociale) che intende impostare su basi nuove le relazione fra la specie umana e le altre specie animali: sostiene che la condizione animale, nel mondo attuale, è interna a una struttura di dominio che ha profonde radici storiche e culturali. Una struttura di dominio che opprime gli animali ma che è all’origine anche di diseguaglianze e forme di oppressione interne alla specie umana. L’antispecismo mette quindi in discussione la classica distinzione fra natura e cultura, fra umano e animale. Va detto che l’antispecismo è un pensiero ancora in formazione e assume diverse sfumature a seconda degli autori e dei gruppi di attivisti che si ispirano a questa visione.Infine l’animalismo, possiamo dare una definizione e chiarire in che modo è legato agli altri due termini?
L’animalismo è l’attitudine a considerare gli animali non umani come “soggetti di una vita”, per citare una celebre definizione del filosofo Tom Regan, e quindi a battersi affinché siano trattati con dignità e spirito di giustizia. L’animalismo storico ha innumerevoli declinazioni. C’è chi si dedica agli animali di affezione (cani, gatti eccetera); chi ha un atteggiamento conservazionista e guarda quindi alla sopravvivenza di certe specie minacciate; chi fa un’azione militante contro la vivisezione o contro i macelli e così via. Rispetto all’antispecismo, la differenza sostanziale è nella visione d’insieme e nell’approccio all’azione concreta. Si può essere animalisti senza essere antispecisti, mentre si può dire che l’inverso è inconcepibile.
L’antispecismo – anche se non in tutte le sue declinazioni – critica l’animalismo classico per la sua visione settoriale, tendenzialmente autoreferenziale: ci si batte per gli animali, ma senza che vi sia una critica della società moderna e del sistema economico che genera oppressione (gli animali, diceva Aldo Capitini, il filosofo della nonviolenza, sono i più oppressi fra gli oppressi). L’animalismo, tradizionalmente, è un mondo a sé, con scarsi contatti con altre forme di impegno sociale e una debole spinta politica. L’antispecismo teorizza e cerca di praticare forme di lotta comuni con i gruppi attivi in campo sociale e politico per un radicale cambiamento della società .