Animalizzare per opprimere
di Egon Botteghi pubblicato il 25 novembre 2013 su antispecismo.net
Il 15 Novembre a Catania presso lo spazio “Scenario pubblico”, si è svolto l’evento “Liberiamoci”, organizzato dall’associazione Liberation. Il focus della serata era il sessismo e in quella occasione, davanti ad un pubblico per la maggioranza non vegan, si è cercato di fare la connessione tra questo tema e la liberazione degli animali non umani.
Qui di seguito trovate la parte in cui si è richiamato lo studio di C.Adams (vedi anche “Lo stupro degli animali e la macellazione delle donne”).
TESTO DELL’INTERVENTOÂ
Le immagini dello sfruttamento della donna nel marketing pubblicitario culminano spesso nell’accostamento esplicito tra i “pezzi” di donna senza volto e i “pezzi” di animale di cui normalmente, nella nostra societĂ , ci cibiamo (a meno di non essere vegano come il sottoscritto).
La donna viene ridotta in cibo, pronta per essere divorata e masticata dall’acquirente maschio.
Questo ci riporta al lavoro di una studiosa femminista statunitense, Carol J. Adams, i cui libri analizzano i collegamenti tra l’oppressione delle donne e i diritti degli animali.
In particolare, in un libro del 1990, The sexual politics of Meat, Adams descrive due concetti, il “referente assente” e il ciclo “Oggettivazione-frammentazione-consumo”, che tornano molto utili nell’analisi del linguaggio pubblicitario che deteriora l’immagine della donna.
Il “referente assente” è in atto quando un essere vivente, presente nel discorso e nella situazione reale, viene reso assente attraverso il linguaggio che lo rinomina, facendolo scomparire alla vista e al pensiero e quindi alla coscienza.
Gli animali di cui ci si nutre vengono resi assenti, nella loro realtà di corpi interi appartenenti ad individui senzienti, attraverso il linguaggio che rinomina le loro parti e le spersonalizza (bistecca, salsiccia, fettina, arrosto), prima che il consumatore se ne alimenti, così come il linguaggio pubblicitario fa a pezzi e rinomina il corpo della donna, rendendo, come si diceva, la donna nella sua interezza di individuo pensante e volitivo, assente e divorabile per il consumatore maschio.
Il fatto che la donna nella pubblicitĂ sia sovrapposta agli animali fa emergere chiaramente una struttura base dell’oppressione patriarcale, che ha il suo fondamento nell’oppressione sugli animali non umani, secondo il ciclo individuato da Adams di “oggettivazione-frammentazione (smembramento)-consumo”.
Infatti, quando il soggetto vivente viene oggettivato, reificato, ridotto a cosa inanimata, privo di sentimenti, capacitĂ di provare dolore o di volere qualcosa per sĂ©, l’oppressore (non per niente detto anche carne-fice) viene sollevato da ogni questione morale, da ogni possibilitĂ di provare empatia per la vittima.
L’animale per essere reso carne dal carne-fice, viene oggettivato, viene abbassato di livello e inserito nel regno dell’esistente, per essere sfruttato ed ucciso – gli animali da produzione vengono equiparati a macchine biologiche per produrre proteine. Altrettanto, la donna, nella societĂ patriarcale, viene animalizzata, ridotta a scrofa, vacca, gallina, oca, per essere resa merce di scambio, di consumo e di riproduzione di prole.
Questo meccanismo è in atto in tutti gli sfruttamenti intra-specifici tra gli umani.
Per giustificare l’annientamento, lo sfruttamento, la privazione dei diritti di una categoria di esseri umani da parte di un’altra, la prima viene animalizzata, ridotta al livello animale (ad es.: gli ebrei per i nazisti erano topi, i neri per i razzisti scimmie, come recentemente testimoniato dalle vergognose dichiarazioni di un nostro “politico” che, riferendosi alla Ministra per le pari opportunitĂ Kienge ha affermato “Ogni volta che la vedo non riesco a non pensare ad un orango”).
Si delinea in questo modo la piramide valoriale tipica della nostra societĂ antropocentrica-patriarcale e classista, che vede l’essere umano bianco maschio, eterosessuale e possidente al vertice, al posto di comando e sotto tutti gli altri, fino alla base occupata dagli animali non umani, che fungono da paradigma (ed anche da palestra) per tutte le oppressioni tra gli umani.
Questo tipo di visione piramidale è quella che l’antispecismo (lo “specismo” è un altro vocabolo nato negli anni ’70 negli Stati Uniti sulla falsariga del razzismo) vuole combattere e questo lo lega al femminismo (ci sono moltissime autrici femministe-antispeciste e animaliste).
Molte femministe pensano che sia il sessismo la matrice di tutte le oppressioni: se tutte loro facessero un ulteriore passaggio e vedessero all’opera l’animalizzazione della donna e prima ancora l’oggettivazione dell’animale, chiuderebbero il cerchio e si salderebbe definitivamente la lotta femminista a quella antispecista contro il patriarcato, come Adams auspica.