You Are Here: Home » Femminismi » Collettivo di fabbrica GKN: un problema con l’antispecismo

Collettivo di fabbrica GKN: un problema con l’antispecismo

È passato un anno da quando è stata inviata la lettera scritta al Collettivo di fabbrica GKN da Animali Politici, Associazione Parte in Causa, intersexioni e Restiamo Animali.

Non avendo ricevuto alcuna risposta, le nostre richieste diventano pubbliche. 

“Per questo, per altro, per tuttoâ€.

 

Vi scriviamo incoraggiate dalla vostra chiamata a far convergere lotte per la giustizia in una prospettiva fortemente intersezionale.

Siamo persone singole, gruppi, associazioni, realtà (fiorentine e non) antispeciste che nel corso degli anni sono entrate in contatto con la vostra lotta. Non impiegheremo troppe parole per dire quanto riteniamo significativo, rivoluzionario e d’avanguardia il vostro percorso: lo diamo per scontato. Se vi scriviamo è perché contiamo in un confronto positivo e perché crediamo nella possibilità di un cambiamento individuale e collettivo per costruire un mondo migliore per tuttз.

 

Dagli anni Settanta e in particolare nell’ultimo decennio, nell’accademia e all’interno della società, si è diffusa a livello planetario una importante e altrettanto rivoluzionaria attenzione per una particolare categoria di viventi vittima di oppressione, negletta anche da chi si occupa delle più diverse ingiustizie: gli animali di specie diverse dalla nostra. Ci rendiamo conto di quanto sia complicato e riduttivo racchiudere in una sola parola, “animaliâ€, le diverse specie che tale termine comprende, ognuna con le proprie peculiarità, ma per capire di cosa andremo a parlare riteniamo che possa bastarci.

Siamo persone attive in contesti anticapitalisti, spazi sociali, movimenti femministi, transfemministi e lgbtqia+ e nell’antispecismo. Usiamo per precisa scelta quest’ultima parola, per indicare un posizionamento nei confronti della vita animale che non è zoofilia, “amore†o generica passione per i/le compagnз di vita degli esseri umani, come generalmente sono cani e gatti, qualche volta cavalli, coniglietti, ecc. Usiamo questa parola, invece, per specificare che la nostra battaglia per gli animali non umani si pone a fianco di quella per i viventi umani. Non prima, non dopo, a fianco. Per noi le due cose procedono di pari passo e in nome dell’una non si può calpestare l’altra.

Anche se dal punto di vista quantitativo si tratta della distruzione di vite più consistente e più duratura nel tempo, questa ingiustizia ha faticato e ancora fatica molto a imporsi con uguale dignità tra le altre lotte per la giustizia e contro ogni tipo di violenza e oppressione.

Siamo pertanto abituatз ad affrontare una continua mortificazione di questa istanza di giustizia e non possiamo che prendere atto del fatto che anche ambienti culturalmente e politicamente attrezzati non riescono a considerare tutte le ingiustizie sullo stesso piano, ma procedono secondo gerarchie che possiamo definire “tradizionaliâ€, come se nel tempo non fosse successo niente di nuovo a livello di analisi e pratiche.

Così capita che nei contesti in cui ci si batte – in maniera meno radicale della nostra – per gli animali non umani, ci sia chi esprime posizioni razziste e sessiste. Oppure che nei contesti di lotta per la giustizia sociale umana si esprima una indifferenza totale o addirittura un non velato disprezzo nei confronti dei miliardi di animali che quotidianamente muoiono per convenienza economica (gli altari sacrificali del capitalismo), tradizioni religiose e pastorali, volontà di una sola specie (la nostra) che si è autoproclamata superiore alle altre.

Non viene cioè riconosciuto che la sopraffazione su categorie di esseri umani (donne, persone LGBTQA+, persone intersex, persone razzializzate, ecc.) e su categorie di animali (“da allevamento†piuttosto che “da compagniaâ€) è strettamente connessa.

Quindi vorremmo poter dire che ci ha sorpreso osservare quell’indifferenza, quel “peso morto della storiaâ€, il 31 dicembre alla cena della GKN. Invece purtroppo non siamo sorprese: non perché non avessimo aspettative alte, ma perché siamo purtroppo abituatз ad attraversare spazi di totale avanguardia in cui l’antispecismo è lasciato indietro, non viene nemmeno considerato una lotta pienamente politica, anzi, non viene neppure considerato una lotta.

Moltз pensano che si tratti di una lotta assurda, che gli animali siano lì per noi, a nostra disposizione, per essere sacrificati, utilizzati, riprodotti e poi ammazzati per noi, che ci riteniamo più intelligenti, ergo superiori, e gli animali subirebbero la propria sorte in modo mansueto e rassegnato. Le investigazioni degli ultimi anni hanno mostrato invece che nemmeno questo è vero: sono continue le storie di ribellione, di fughe ed evasioni degli animali dai luoghi in cui vengono rinchiusi in una non-vita. Continue e violente sono le insubordinazioni di questi viventi-zombie, di questi spettri, contro chi esercita dominio e sopraffazione su di loro. Circolano sempre più spesso video girati nei mattatoi e in molti paesi del mondo ci sono gruppi di attivistз antispecistз (a partire dall Francia) che occupano i mattatoi, fermandone le attività, per far vedere a noi cittadinз/consumatorз quel rimosso che dovremmo avere il coraggio di affrontare. Negli Stati Uniti le azioni dirette nonviolente antispeciste contro la produzione di carne e contro la vivisezione (esperimenti sedicenti scientifici su animali vivi), sono equiparate al terrorismo e anche in Inghilterra ci sono attivistз che stanno scontando pene pesantissime in prigione.

Eppure tuttз nella vita abbiamo saputo almeno una volta di una mucca scappata da un allevamento, di un cinghiale che ha reagito di fronte all’aggressione di un cacciatore, di tori che oltre al torero caricano gli spettatori, e di recente si è saputo di un leone fuggito da un circo. Si tratta solo dei casi più eclatanti. Nonostante il fatto che tutte le specie animali che sfruttiamo per il nostro interesse – e non solo quelle che sfruttiamo per il cibo – siano state selezionate e plasmate dall’essere umano allo scopo di renderle docili e inoffensive, gli animali continuano a provare desiderio di libertà e cercano di liberarsi in ogni modo possibile con azioni più o meno eclatanti.

Le investigazioni raccontano di animali che smettono di nutrirsi, che si ribellano con il digiuno lasciandosi morire, che compiono gesti autolesionistici terribili, che si suicidano a testate contro le sbarre. Alcune madri arrivano ad uccidere i propri cuccioli. Numerosi cavalli nel corso della storia del Palio di Siena si sono rifiutati di partire, e poi, sempre per fare qualche esempio, c’è stato un polpo che a Napoli, fuggendo dalla pescheria, si è avventurato per le strade della città. L’orso M49 Papillon è misteriosamente fuggito due volte dal Casteller, carcere per non umani a Trento, con alte pareti elettrificate, e per due volte è stato nuovamente catturato.

Possiamo dunque riconoscere negli altri animali operazioni di resistenza alla prigionia, all’oppressione e alla violenza. Ed è questo il motivo per cui l’antispecismo sostiene che, se fossero umani, verrebbero chiamati compagne e compagni ed è uno dei motivi per cui ci sentiamo loro alleatз.

Il nostro disagio davanti alle proposte per la cena del 31 dicembre non deriva però solo da questo. Abbiamo sentito anche tutta la difficoltà e la solitudine della battaglia ecologista: per anni abbiamo visto le grandi organizzazioni per l’ambiente negare o ignorare il problema dell’impatto dell’allevamento sul clima. Ci siamo resз conto di quanto l’economia abbia un peso superiore a quello delle preoccupazioni ambientali nella nostra società: è ancora poco noto che l’allevamento animale è responsabile del 51% delle emissioni climalteranti. Si tratta per la maggior parte non di CO2, bensì di metano, un gas che ha effetti meno duraturi nel tempo rispetto alla CO2 ma che proprio per questo, se fossimo in grado collettivamente di ridurne le emissioni, ci permetterebbe di agire subito contro il surriscaldamento globale. C’è poi l’enorme tema della deforestazione e dell’utilizzo dei suoli: per nutrire con la carne una piccola parte del pianeta, si stanno letteralmente distruggendo parti immense di foresta primaria, un bene comune insostituibile, con conseguenze disastrose sull’equilibrio atmosferico, il clima e la fertilità dei terreni destinati a foraggio per gli animali di allevamento e poi abbandonati quando si desertificano.

L’antispecismo invece è una lotta eminentemente politica, anche in chiave anticapitalista, dato che l’industria zootecnica è insensibile allo sfruttamento e alla morte in nome del profitto, come l’industria padronale è insensibile allo sfruttamento umano.

Tuttavia, notiamo la timidezza e la fatica con cui tematiche del genere entrano nei discorsi dei gruppi di giovani che sono emersi negli ultimi anni e che dominano oggi l’attivismo nel campo. Si fatica a chiedere di essere coerenti e conseguenti, ci si auto mortifica accettando scherzi e dileggi sulla scelta vegetale, eppure si tratta di scegliere tra la sopravvivenza nostra e altrui e il profitto dell’agribusiness.

Ancora, a proposito di un’economia che trionfa spietatamente su ogni altro principio e valore, vogliamo condividere con voi un trauma che il nostro movimento ha subito di recente e che ha rappresentato una vera e propria violenza politica. A seguito dell’ennesima epidemia esplosa in Italia, in questo caso una epidemia di peste suina, pur non trattandosi di zoonosi, cioè pur non trattandosi di una malattia che si trasmette all’essere umano, lo Stato nella sua versione più spietata, quella cioè che difende il capitale e non gli individui, ha inviato il proprio braccio armato a violare uno dei pochi territori che avrebbe dovuto essere libero dal dominio umano sulle altre specie: un santuario per animali liberi dove avevano trovato rifugio e famiglia alcuni animali sottratti alla violenza intrinseca degli allevamenti. Quegli animali avevano un nome e una famiglia, e nondimeno sono stati brutalmente uccisi, nonostante i corpi delle attiviste e attivisti che hanno cercato in tutti i modi di interporsi.

In quel rifugio, Progetto Cuori Liberi in provincia di Pavia, nove maiali liberati dall’industria dello sfruttamento sono stati assassinati il 20 settembre scorso, perché le aziende dell’agribusiness, in questo caso gli allevamenti, interpretati come “eccellenze italianeâ€, non potevano rischiare una diffusione dell’epidemia. Per prevenire ogni rischio hanno proceduto con l’abbattimento – neolingua per indicare l’uccisione indiscriminata – di tutti gli animali di un rifugio antispecista sottratto al mercato e al capitale.

Lo stesso eccidio, di dimensioni però decisamente maggiori, è stato attuato negli allevamenti e decine di migliaia di animali nelle province di Pavia e Mantova sono stati chiusi in container e gassificati. Ci sono terribili immagini filmate da un drone che chiunque può vedere: si trattava di animali destinati in giovane età al macello, che hanno visto finire in maniera ancora più precoce, violenta e improvvisa la propria vita, senza che ci sia stata la minima attenzione alla loro positività o negatività al virus perché ‘prevenire’ era la parola d’ordine.

In questi casi non si tratta mai di tutelare la vita degli animali, ma solo la prosperità di uno dei settori economici che non conosce crisi nel nostro Paese, perché gode di enormi sussidi pubblici, e che, grazie a questi sussidi, resiste nonostante i prezzi sempre più bassi e competitivi imposti sul mercato dal secondo dopoguerra. Le tasse di tuttз noi, infatti, contribuiscono a rendere possibile che, di fronte ad ogni aumento dei prezzi, quelli dei prodotti di origine animale restino pressoché immutati. Sappiamo però che dietro alle luci rassicuranti dei supermercati c’è la riproduzione continua di individui nati per essere spettri, nati per essere cibo. Per questo, quando sono in vita, è inevitabile che non siano trattati nemmeno come animali, ma come cibo che cammina.

Ci preme ricordare anche quanto sia stato analizzato negli ultimi decenni lo stretto legame tra le questioni di genere e la questione animale. Il movimento antispecista è composto per la netta maggioranza da donne, e i pochi uomini che lo animano sono generalmente percepiti come effeminati, poco virili, ‘soyboy’, un termine che mette in relazione la presunta “debolezza†delle proteine della soia con la virilità e la potenza che la carne animale sarebbe in grado di assicurare a un corpo maschile o percepito come tale. In realtà, la carne, da questo punto di vista, si configura come un mero cibo psicologico, che è in grado di rinforzare la virilità maschile solo ad un livello simbolico, non essendo, le proteine vegetali, inferiori in nulla rispetto a quelle di origine animale.

Per tutto quello che abbiamo scritto fin qui ci auguriamo, la prossima volta che saremo insieme a protestare, lottare o festeggiare, che la nostra protesta, la nostra lotta o la nostra festa possano svolgersi in modo coerente e conseguente, senza banchetti di corpi di altri animali, senza prodotti di uno sfruttamento spietato, senza i passaggi violenti e sanguinari del mattatoio, senza discriminazioni tra una presunta superiorità umana e una presunta inferiorità non umana, senza lo sfruttamento dei corpi femminili, senza riproduzioni ottenute artificialmente attraverso inseminazioni forzate, senza furto del latte alle madri e sottrazione dei loro cuccioli, senza violenza, senza usurpazione, senza sopraffazione.

Angela Davis, straordinaria attivista femminista, antirazzista, anticapitalista e anche antispecista durante la 27esima conferenza delle Donne Africanoamericane ha detto: “Di solito non affermo di essere vegana, ma solo di essermi evoluta. (…) Penso che sia arrivato il momento giusto per parlarne perché fa parte di una prospettiva rivoluzionaria: come possiamo non solo scoprire relazioni più tolleranti tra umani ma anche sviluppare relazioni compassionevoli con tutte le altre creature con le quali dividiamo questo pianeta. Questo vuol dire lottare contro il capitalismo, nella forma dell’orrenda industria della produzione di cibo da animali. (…) Il cibo che mangiamo nasconde un’immensa crudeltà. Il fatto che possiamo sederci a tavola e mangiare un pezzo di pollo senza minimamente pensare alle condizioni terribili in cui è stato allevato e macellato è un segno di come il capitalismo ha colonizzato i nostri pensieri. È facile pensare come allo stesso modo ci si possa sedere a un tavolo e nella comoda ignavia di consumistз-cittadinз non attivз accettare incondizionatamente qualsiasi situazione che crea profitto per pochз e sofferenza per moltз, animali, umani e ambiente.â€

Per realizzare la giustizia climatica e sociale, contro la deforestazione, superando finalmente lo specismo, riducendo l’uso della forza violenta, auspichiamo di ritrovarci alleatз nelle lotte, umane o interspecifiche che siano.

Noi saremo indubbiamente al vostro fianco “per questo, per altro, per tuttoâ€.

E voi al nostro?

Gennaio 2024

animali politici, intersexioni, parte in causa, restiamo animali

 

Per adesioni potete scrivere sui social delle quattro organizzazioni firmatarie

Adesioni in corso di aggiornamento:

  • Agripunk Onlus 
  • Alma Libre 
  • Collettiva F.R.O.G.
  • Insectionals
  • No food No Science
  • Progetto Vivere Vegan ODV
  • Ribellione Animale
  • Sparta – Riserva dell’Animalità
  • CSA Terrestra 

 

About The Author

Daria Campriani

Sono una donna trans, femminista, atea e vegana antispecista. Ho una laurea magistrale in Scienze della Politica e dei processi decisionali. Amo sopra ogni cosa la musica di Bach, di Wagner e di Mahler.

Number of Entries : 4

Leave a Comment

intersexioni - info@intersexioni.it

Scroll to top

Sito web by: Koris web agency