Critica ad alcuni elementi di transnegatività riscontrati nel movimento animalista
Di seguito l’intervento di Egon Botteghi per il Collettivo Anguane in vista del dibattito su
“Discorso critico sul sessismo e il sessismo nel movimento animalista”
coordinato dal Collettivo Anguane durante il X incontro di Liberazione Animale.
13 Settembre 2014
Buongiorno a tutt*, mi chiamo Egon e come alcun* di voi sanno, sono un uomo transessuale. Ho iniziato la mia transizione da donna a uomo nel 2011, mentre ero già impegnato da alcuni anni nel movimento per la liberazione animale, nel cosiddetto movimento antispecista italiano. Nel 2008 ho infatti co-fondato un rifugio per animali domestici da reddito, trasformando il centro ippico che stavo gestendo e liberando i cavalli con cui lavoravo da molto tempo.
E’ stato il primo dei cambiamenti imprevedibili della mia vita, che mi hanno portato, da essere un allenatore e addestratore di cavalli e un istruttore appassionato di equitazione, in un altrettanto appassionato detrattore degli sport equestri e della schiavitù equina.
Questo cambiamento è stato possibile perchè la motivazione originale del mio essere “persona di cavalli”, derivava, fin da quando ero bambino, da un genuino interesse per questi animali (e per tutti gli animali in genere), così come accade per la maggioranza dei proprietari dei cavalli, che sono veramente convinti di amare il proprio animale.
Purtroppo l’equitazione ci viene presentata e proposta come il modo per eccellenza di rapportarsi ai cavalli, come un modo per essere vicino a questi animali, facendo scomparire il punto di vista del cavallo e la reale conoscenza delle sue esigenze. Il cavallo è trasformato nell’animale da equitazione, e chi pratica l’equitazione in “amante degli animali”, facendo passare cattività, sopruso e dolore per amicizia.
Per questo ritengo importantissimo divulgare le informazioni su queste pratiche, come sto cercando di fare con una mostra sull’equitazione e fare quello che è stato fatto a me, quando partecipai allo stage che nel 2008 cambiò la mia vita. L’insegnante che teneva il corso, da francese che era, usò un francesismo:
“Io vi metto il naso nella merda, poi voi decidete se starci o meno, ma non potete più dire che non è merda”,
ci disse, mostrandoci un documentario sul rapporto uomo-cavallo (Alexander Nevzorov “Il cavallo crocifisso e risorto”).
Così, cercando di liberare le altre persone, ho cominciato a connettermi con la necessità della mia stessa liberazione ed il dolore per quello che non avevo mai voluto affrontare è esploso: nonostante la cosa mi terrorizzasse, dovetti riconoscere di essere una persona transessuale.
Quanto questo possa essere difficile lo dico con le semplice parole di un’altra persona FtM (female to male, transessuale da donna a uomo): “Non è facile scoprire di essere l’indiano in un film di cowboy”.
Sì, ero il cattivo della situazione, quello dalla parte sbagliata della barricata, e con enorme tristezza ho dovuto constatare che questo valeva anche in ambiente antispecista.
Quando ho iniziato la transizione credevo di trovarmi in una situazione privilegiata rispetto a tant* altr*: vivevo e lavoravo con persone vegan ed antispeciste e quindi pensavo che non avrei incontrato difficoltà di inclusione.
In realtà ho dovuto scoprire con shock che l’unica ferita quasi mortale l’ho ricevuta in questo ambiente e che per questo ho perso il lavoro ed il progetto che avevo fondato e seguito per anni, cosi’ che ho avuto la necessità di allontanarmi per un certo periodo dal movimento per sopravvivere.
Sottoscrivo quanto Annaliza Zabonati ha scritto nel suo saggio contenuto negli atti di “Liberazione Generale”:
“L’antispecismo si autoproclama il movimento più radicale rispetto a tutti gli altri, collocandosi in una posizione di supposto sapere sulle varie forme di oppressione e di dominio… La tolleranza manifestata [rispetto alle persone lgbtqi] è una copertura, molto spesso di un profondo disagio di fronte alla non conoscenza dei temi derivanti dalle lotte di rivendicazione di liberazione femminista e lgbtqi”.
Furono proprio Annalisa ed Erika, ora mie compagne nel collettivo anarco-veg-femminista Anguane, ad intervistarmi per prime su questi temi per conto di Antispecismo.net.
In quell’intervista risposi a cuore aperto, mostrando già le criticità che il mio essere gender non conforming scatenava nell’ambiente “progressista” in cui vivevo e lavoravo e raccontai il primo episodio apertamente transfobico in cui ero incappato:
“… purtroppo, arrivano alle spalle voci transfobiche da parte di persone che si definiscono antispeciste. Ci è stato riferito che una persona antispecista e vicino a situazioni a noi vicine, ha detto che io coi soldi dei benefit per gli animali mi ci pago le operazioni di riassegnazione sessuale. Si tratta proprio di ignoranza, anche perché le operazioni sono coperte dal servizio sanitario pubblico. Si tratta quindi di cattiveria gratuita.”
Al tempo sottovalutai il peso che queste posizioni ostili avrebbero avuto sulla mia vicenda, come sottovalutai, anche se mi faceva atrocemente soffrire, l’accusa che mi veniva rivolta come persona transessuale, anche dalle persone che in quel momento sostenevano di volermi bene e di essere al mio fianco:
“se sei transessuale e prendi ormoni, allora non sei un vero antispecista, non sei più dalla parte degli animali, ma finanzi il sistema e le case farmaceutiche e sei CONTRONATURA”.
Questa è una frase che i transessuali antispecisti si sono sentiti dire dai loro “compagni” di movimento decine e decine di volte. Una compagna, ad esempio, scrivendo ad un compagno in carcere, gli raccontava che era in coppia con un ragazzo transessuale, anch’egli vegan ed antispecista. Questi gli ha risposto che per lui era inconcepibile e fuori discussione che un transessuale potesse essere considerato antispecista, perchè consumatore di ormoni!
Vorrei quindi analizzare questa accusa, che ha il sapore di una sentenza, pezzo per pezzo.
“Se sei transessuale”:
la quasi totale maggioranza degli antispecisti non sa cosa sia una persona transessuale (nonostante ci sia una forte presenza di persone transessuali nel movimento, sia a livello nazionale che internazionale, e questo, vedremo perchè, non è un caso) e quando gli viene spiegato deve capire che non è una scelta. Non si sceglie di essere transessuali come oggi scelgo che vestito mettermi o cosa mangiare, è una condizione che insorge molto probabilmente dalla nascita (la scienza è ancora alla ricerca di spiegazioni), di cui si può prendere consapevolezza a vari stadi della vita e con cui devi fare, prima o poi, i conti. Non è una posizione facile o privilegiata nelle nostre società, questo è indubbio.
Quindi “se sei transessuale e fai uso di ormoni”, lo fai perchè non hai scelta! Non hai scelta perchè una delle condizioni primarie per la sopravvivenza è il riconoscimento di quello che si è.
Quindi, in una società come la nostra, dove la donna è quella con la vagina e le tette e l’uomo è quello con il pene ed i peli, una persona che nasce con una identità maschile in un corpo femminile, ha la necessità di portare delle modificazioni al proprio corpo per poter essere riconosciuto e per poter sopravvivere.
Il non riconoscimento porta ad una vita da inferno, che può sfociare nel suicidio.
Come sostiene Michela Angelini, medico veterinario transgender e vegan, attivista lgbtqi, “la transessualità è una questione sociale”.
Quindi non si possono colpevolizzare le persone transessuali se accettano l’unica soluzione che è al momento, nello sviluppo della nostra società, praticabile per rimanere in vita, contando poi che moltissime persone transessuali, una volta fatto il percorso di transizione, continuano a parlare ed agire contro la società binaria e sessista, che divide i corpi e le vite di donne e uomini in maniera così biunivoca.
Se un domani vivremo in una società che riconoscerà le varianti all’essere uomo-pene o donna-vagina e le rispetterà per quello che sono, una società dove una persona gender non conforming potrà scegliere di vivere serenamente anche senza interventi, lo dovremo anche alle persone transessuali che oggi si operano per sopravvivere ma che continuano a lottare per divulgare conoscenza e pratiche di liberazioni dei corpi.
Le stesse persone che additano le persone transessuali come a traditori della causa e alimentatori del sistema, quando si ammalano ed hanno bisogno di medicinali allopatici, pena il rischio di una debilitazione grave, le comprano, perchè non hanno alternative valide.
Non possiamo dire ad una persona transessuale di vivere serenamente nel suo corpo non conforme all’identità e pretendere di farsi rispettare per l’identità percepita, perchè questa modalità e la società che potrebbe supportare questa possibilità ancora da noi non esiste. Deve essere ancora costruita, e non si può costruire da morti. Se io vado in giro glabra e con le tette, sarò sempre considerato una donna, avendo poi anche il documento che parla per me e quanto questo possa diventare incompatibile con la vita, deve essere molto chiaro.
Le stesse persone che mi esortavano, nell’isola felice in cui credevo di vivere, a farmi considerare un uomo pur restando con il mio corpo femminile, mi hanno dimostrato di non riuscire a vedermi come tale.
Non si può neanche tacere il fatto che una persona transessuale, vegana ed antispecista, non prende “alla leggera” il passo di assumere ormoni cross-sex. Queste persone spesso passano anni ad interrogarsi, a studiare, sondare, ed anche soffrire, nel tentativo di capire come far collimare la propria sofferenza con le proprie esigenze etiche. Tutto quello che c’è da sapere su come sono prodotti, da chi e per quali scopi i farmaci che prende già lo sa, e forse ha anche cercato alternative più “naturali”, che però non hanno funzionato. Non sarà l’ennesimo antispecista integerrimo e giudicante a svelargli delle verità!
“Sei contro natura!”:
troppo spesso molti antispecisti si dimenticano, o ignorano completamente, come la Natura sia stata la più grande alleata delle più grandi oppressioni e inique distribuzioni di potere. La personificazione della potente e sempre buona e perfetta Natura, il ritorno al cui stato tutt* aspiriamo, ha preso da anni il posto di Dio nel regolare la scala dei valori dei viventi. I neri erano per natura inferiori ai bianchi, così come le donne agli uomini, così come, per la Natura, non doveva esistere l’omosessualità ed il sesso fuori dagli schemi procreativi.
Insomma la Natura è sempre stata specchio dei desideri di quello che era più conveniente alle strutture del potere. Per dirla con le parole di Franz De Waal:
“come illusionisti, prima infilano nel cilindro della natura i loro pregiudizi ideologici, poi li tirano fuori per le orecchie, così da mostrarci come la natura concordi con loro”. (“L’età dell’empatia”).
Questa ideologia è perpetuata dagli antispecisti per pura ignoranza, e questo è un fatto grave in un movimento che si suppone radicale e rivoluzionario.
La transessualità comunque esiste in natura. Esiste in molti animali, che cambiano proprio sesso durante la vita, ed è sempre esistita nell’essere umano. Il fatto che dagli anni ’50 del secolo scorso, in occidente, il transessuale sia stato individuato come un individuo che cambia sesso con l’ausilio della medicina, è una questione intrinseca alla nostra stessa società. Qui non si pone la questione dell’uovo e della gallina, ma la risposta è chiara: prima c’erano le persone transessuali e poi i ritrovati tecnici della medicina occidentale che ha deciso di “curarli” in una determinata maniera.
Come detto, la persona transessuale non sceglie di essere tale, non lo fa perchè è un tipo particolarmente esuberante, o confuso o alla ricerca di forti e nuove emozioni e non è un derivato della tecnologia medica e delle storture del sistema.
Scoprirsi transessuali, intraprendere un percorso di riassegnazione di genere, equivale a scendere di molti piani nella scala dei valori che la nostra società assegna ai viventi. Nel mio caso ero nato come donna bianca, possidente, sana, occidentale, quindi vicino alla perfezione rappresentata dall’uomo bianco, possidente, eterosessuale, e seguire il mio destino di persona transgender equivaleva a scendere di categoria, a prendere “un ascensore per l’inferno” e ad unirmi alle schiere dei dannati che sperimentano ogni sorta di oppressione nella nostra piramide sociale… voleva dire scendere parecchi piani, fino a trovarmi nella sfera dell’altro da umano, di animale, direi quasi di oggetto, per questo era tanto terrifico per me.
Questo ha voluto dire molto nella prospettiva del mio attivismo antispecista, perchè ha cambiato in modo drastico il mio posizionamento.
Sentire che la lotta ti appartiene, che ne va della propria vita, passare da una posizione di privilegio ad una di svantaggio, vedere nel mondo persone trucidate perchè sono come anche tu sei, condividere a volte con quelli per cui lottavi anche prima, come ad esempio gli animali altro da umani, lo stesso posizionamento “dal basso”, mi ha reso ancora più attento a leggere la complessità della realtà, ad essere “resistente”, a non cadere in banalizzazioni ed in giudizi, che credendo di fare del bene, creano altre categorizzazione di sfruttamento ed inutile stigma.
Non ero più nell’eterea schiera dei “buoni”, e per lo più bianchi e occidentali, che, pur essendo nati con tutti i privilegi (che però stentano a riconoscere perchè rimangono a loro stessi invisibili non avendone mai sperimentato l’eclisse) si affannano nella lotta per i “senza voce”, per i poveri animali oppressi e sfruttati: ero diventato anch’io allo stesso livello degli animali, condividevo il solito piano.
E non era un piano che potevo abbandonare alla fine della manifestazione o della discussione perchè io su quel piano ci vivevo.
Adesso ero anch’io un essere che poteva essere cacciato, ucciso, denigrato, negato.
Da quando io stesso sono diventato, per il senso comune, un ibrido tra vivente ed oggetto, tra uomo e donna, tra sano e malato, tra umano ed animale, da quando il confine, creato dalla nostra società, che ha il potere di accettare o di escludere, passa proprio in mezzo al mio corpo vivente e reale, il mio modo di fare attivismo è diventato più consapevole e sono diventato anche un ponte, un ponte tra le varie lotte contro le oppressioni.
Nel mio caso cerco di gettare un ponte, un dialogo tra le lotte per la sopravvivenza delle persone lgbtqi e gli animali altro da umani e cerco di mettere in guardia la teoria e la pratica antispecista da posizioni essenzialistiche e giudicanti.
Già due anni fa, in occasione del penultimo incontro di Liberazione animale, presentai un articolo ed un workshop dal titolo “Soggetti politici e diritti: lo status di chi non deve esistere”, dove mettevo a confronto la terribile somiglianza tra le norme che regolano la vita delle persone che in Italia affrontano la riassegnazione del sesso e le norme che regolano la vita degli animali da reddito nel nostro paese.
Fu un intervento un po’ spiazzante: l’organizzazione mi aveva affidato il compito di parlare di rifugi, ed io parlai sì di rifugi e dei problemi che hanno a salvare gli animali da reddito per colpa della burocrazia, ma parlai anche della sterilizzazione forzata dei transessuali, sempre ad opera della burocrazia. La maggior parte delle persone ne fu molto colpita, ma il silenzio raggelante di alcuni ancora mi rimbomba nelle orecchie.
E il silenzio è quello che accompagna queste vicende: le aggressioni omo-transfobicche all’interno del movimento non vengono denunciate e le persone che ne sono vittime vengono lasciate sole, come fosse una questione di scaramucce personali e non un’aggressione all’essenza del movimento stesso.
Un altro silenzio di cui mi dispiaccio è quello intorno alla questione intersex.
Tra le persone che infatti mi sono state più vicino nel difficilissimo momento dell’inizio della mia transizione c’erano Alessandro Comeni, uomo trasnintersex, e Michela Balocchi, sociologa che si occupava della questione intersex, per cui sono venuto a conoscenza del trattamento che queste persone ricevono, fin da neonati. Ho subito pensato che questo doveva essere un tema che doveva entrare di diritto nell’agenda dell’antispecismo nostrano, aiutando così la difficile creazione di un movimento intersex anche nel nostro paese.
Spinti dalle connessioni che c’erano nelle nostre lotte, abbiamo fondato il collettivo Intersexioni, composto da attivisti e studiosi della questione intersex, transessuale, cross-dress, omosessuale, femminista ed antispecista.
Grazie al lavoro di questo collettivo, alcune persone che operavano su altri fronti del pensiero critico e della liberazione, sono diventate vegan e molti si stanno comunque interessando alla questione animale.
Purtroppo non ho visto la stessa contaminazione dalle parti del movimento antispecista: il mio appello per lottare anche per la sopravvivenza delle persone intersex è caduto nel vuoto.
La consapevolezza però che la questione della lotta al sessismo, all’eteronormatività, all’omo-trans-negatività è centrale in un movimento radicale come quello che l’antispecismo vuole essere è troppo forte per darsi per vinti, per cui è stato avviato nel 2013 il progetto “Liberazione Gener-ale”, che vuole essere un momento di studio politico e di creazione di pratiche per rendere produttive le connessioni tra le varie lotte, la cui prima sessione, svoltasi a Firenze, era proprio incentrata sulle intersezioni tra liberazione animale e questione lgbtqi.
La sessione di quest’anno, il cui focus era il sessismo sulle donne, sugli animali e sulle persone lgbtqi, ha mostrato ancora una volta la difficoltà di parlare di certi argomenti in ambienti radicali che viaggiano su binari paralleli e che non dialogano abbastanza ed è comunque stato un successo anche solo per il fatto di aver unito nell’organizzazione gruppi ed associazioni antispeciste con un circolo storico lgbtqi come il circolo Pink di Verona.
Coraggiosamente e come atto politico è stato infatti scelto come luogo la città di Verona, da anni protagonista di pesantissimi attacchi, da parte della destra e dell’amministrazione, verso il “deviante” (che si tratti di omosessuali, transessuali, famiglie non tradizionali o homeless, che vengono trattati con gli stessi dispositivi degli animali considerati “nocivi” e contrari al decoro).
In quella sede sono usciti spunti molto interessanti su quello che l’antispecismo può fare nella lotta all’eteronormatività, che è uno dei pilastri portanti del “grattacielo”, se avrà il coraggio di sfruttare le possibili incursioni nei “bassifondi” che la vegan-negatività può “regalare”.
Sarebbe anche utile creare una campagna di sostegno per le persone trans prigioniere in carcere, vittime della repressione contro il movimento di liberazione animale.
Come dice l’attivista e studiosa Pattrice Jones, grande esempio di ponte, ogni progetto dovrebbe essere costruito per incrementare e favorire le connessioni,
Quindi il movimento antispecista, per essere veramente un movimento radicale e libertario efficace e sinceramente tale, deve operare su queste giunture che tengono insieme, sempre prendendo a spunto le parole di Jones, “la casa del padrone” , per scardinarle.
Ma per scardinare una struttura ben costruita dobbiamo lavorare sodo, quindi non si può parlare di eterosessismo, omotransnegatività, sessismo, senza intervenire su di esso, sopratutto quando insorge all’interno stesso del movimento. Non si può colmare l’imbarazzante silenzio su episodi conclamati con un vano parlare. Il movimento dovrebbe unirsi a difesa dei propri valori non negoziabili, non certo per coscrivere e bandire, ma per crescere e consolidarsi e divenire realtà.
stefania
grazie. Condivido con piacere le tue parole, troppo spesso non si vede la trave che ci spacca la testa. Mi auguro che tanti leggendo le tue parole possano cominciare una vera riflessione antispecista. Ti abbraccio