Binarismo di sesso/genere e patologizzazione dei corpi intersex: intervento di M. Balocchi
Trascrizione dell’intervento di Michela Balocchi durante il convegno Contro natura?Â
presso il Palazzo della Gran Guardia a Verona, Novembre 2013
Intervento di Michela Balocchi
La patologizzazione della variabilità intersessuale, e l’invisibilità che ne consegue, non è presente in tutte le culture. È presente in quelle società in cui vige uno stretto binarismo di sesso e genere, in cui il parametro che definisce la normalità si individua nella dualità maschio-femmina, uomo-donna e poi in tutte le altre dicotomie che ne conseguono, quindi quelle legate agli orientamenti sessuali che vengono ridotti a due possibilità (etero-omo), così come nella conformità dell’identità di genere al corpo biologico che, se riguarda la maggior parte delle persone, non le contempla però tutte, lasciando fuori le persone transgender e gender non conforming.
Ci sono invece culture in cui il terzo genere, se così lo vogliamo chiamare, o meglio una categoria “altraâ€, è contemplata culturalmente e strutturalmente e accoglie anche simbolicamente chi non si riconosce nel binarismo del sesso/genere. Alcuni passi in questa direzione li ha fatti l’Australia che dal 2011 riconosce la possibilità della categoria altro (la X, oltre alla F e alla M) per chi ne faccia richiesta, nel passaporto. Ci sono state società e culture come quella dei nativi americani che prevedevano anche uno spazio sociale riconosciuto e di rilievo alle persone cosiddette “due spiritiâ€, che poi erano persone intersessuali o persone con identità di genere non conforme.
Dunque, che cosa si intende per intersessualità ? Si intendono quelle variazioni nel sesso cromosomico, gonadico o anatomico, che esistono appunto in natura, ovvero nella biologia umana e animale, e che esistono come dato di fatto di per sé. Si parla di intersessualità quando si vogliono indicare quei neonati che nascono con atipicità genitale, o quelle persone che nascono con cromosomi misti, o che hanno differenze gonadiche che poi si ripercuotono, si evidenziano anche nell’anatomia. Quindi questa è tutta una varietà che esiste appunto come dato fisiologico, presente in natura tra gli animali umani e non.
E ai signori che hanno organizzato il convegno precedente al nostro va ricordato questo: che forse peccano un po’ di mancanza di conoscenza su come stanno le cose, sui fatti, prima ancora che a questi fatti si sia data una interpretazione, ovvero che questa ampia varietà biologica umana dal punto di vista della variabilità di sesso/genere (e anche della sessualità ) esiste.
Peccano anche di poca fantasia, perché come ci ricorda Barbara McClintock, premio Nobel per la medicina, la natura è caratterizzata da una complessità che supera di gran lunga la capacità di immaginazione umana.
Cioè forse siamo noi essere umani che non abbiamo abbastanza sensibilità e capacità di vedere quello che abbiamo davanti agli occhi; siamo così ciechi che non lo vogliamo vedere, e cerchiamo di far rientrare tutto entro uno stretto binarismo di sesso-genere, quello sì poco “naturale†e invece molto costruito culturalmente e socialmente.
Siamo così ciechi che di fronte a neonati sani, che presentano atipicità genitale, la medicina cerca di condurli entro la dicotomia di sesso-genere con interventi di chirurgia cosmetica non vitale e con percorsi farmacologici non necessari per la salute, ma volti a maschilinizzare o femminilizzare il neonato, il bambino. Tanto che a fronte di neonati intersex sani la terminologia medica usata dal 2006 è quella racchiusa nell’acronimo DSD (Disorders of Sex Development), ovvero “disordini dello sviluppo sessualeâ€, “disturbi dello sviluppo sessualeâ€, “disturbi della differenziazione sessualeâ€, “disordine della differenziazione sessualeâ€. Noi queste variazioni preferiamo chiamarle “differenze dello sviluppo sessuale†o “variazioni nello sviluppo sessualeâ€. Perché le differenze, le variazioni, non sono di per sé disordini o disturbi.
Sì, in alcuni casi possono esserci difficoltà collegate ad alcune forme di intersessualità , ma l’intersessualità di per sé non è una patologia. Invece dagli anni ’50 del secolo scorso è andato ad affermarsi un modello che è ancora parzialmente in vigore, che prevede l’intervento chirurgico sui neonati e sui bambini entro i 24 mesi, e che si basa sull’idea che il bambino sia psico-sessualmente neutro. Quindi, secondo quei protocolli, il bambino si può manipolare, si possono manipolare i suoi genitali, e poi, una volta fatte queste manipolazioni, lo si alleverà secondo il genere corrispondente al sesso che al bambino è stato assegnato, anche qui ricadendo in maniera palese in un binarismo di sesso-genere chiuso e rigido, per cui anche i ruoli di genere, e i comportamenti e le aspettative ad essi attributi sono dicotomizzati e rigidamente ridotti ad un certo tipo. Ma poi che cosa vuol dire educare un bambino a essere e a comportarsi da maschio e una bambina da femmina?
Quei protocolli medici hanno iniziato ad essere contestati dalle stesse persone intersex/dsd nei primi anni ’90, e dagli anni ’90 negli Stati Uniti ha cominciato a formarsi anche un movimento Intersex.
Che cosa veniva e viene contestato dalle persone intersex adulte medicalizzate? Il fatto che questi interventi sono mutilanti, irreversibili, traumatizzanti; sono protocolli che anche laddove non c’è un intervento di tipo chirurgico correttivo, invasivo, prevedono comunque un percorso e un trattamento ormonale farmacologico, che è altrettanto invasivo perché viene praticato fin dai primi mesi e anni di vita e modifica il corpo, e quindi la persona si trova ad avere un corpo che non è il suo, che non è quello che si sarebbe sviluppato fisiologicamente senza interventi esterni.
Noi, con Alessandro, abbiamo avuto modo di partecipare al primo forum intersex mondiale nel 2011, a breve ce ne sarà un altro, il terzo. Anche se in Italia le cose ancora non sembrano cambiare, o meglio qualcosa si sta muovendo ma in modo quasi impercettibile, noi facciamo parte di un movimento intersex che sta nascendo e di cui in questa sala ci sono oggi alcuni esponenti, alcune persone che da anni si occupano della questione, ne scrivono, alcune sono intersex, molte altre no, e qui oggi abbiamo anche persone intersex in carne e ossa che possono testimoniare la loro esperienza di vita.
A livello internazionale è proprio di questo primo ottobre, un mese fa, la Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa che chiede agli Stati membri di tutelare il diritto dei bambini all’integrità fisica e di intraprendere tutta una serie di misure per monitorare la situazione.
Per ora non sappiamo quanti interventi vengono fatti, mancano dati di follow up, e non si hanno dati certi nemmeno su quante persone con variazioni intersex/DSD nascono. Noi tutti questi dati non li abbiamo, e invece vogliamo saperli, è importante saperli.
Un punto importante sottolineato dalla Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa così come anche dal Rapporto Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e dal rapporto del Consiglio per gli Affari esteri dell’Unione Europea, tutte di questo anno (2013), è il fatto che tutti e tre questi organismi internazionali raccomandano di fermare gli interventi medici o chirurgici cosmetici e non vitali, con lo scopo di garantire l’integrità fisica e l’autonomia psicofisica e l’autodeterminazione delle persone interessate.
Perché il filo conduttore che ci tiene qui tutti insieme, – omo, etero, trans, intersex – è quello dell’autodeterminazione. Ci vogliamo gestire per conto nostro. I corpi sono nostri, le vite sono nostre.
Per chiudere, volevo dire un’ultima cosa: le persone intersex sono una minoranza, si parla dell’1,7-2% della popolazione: 1,7% sui nuovi nati/nate. Anche qui, per motivi che dicevo prima, non abbiamo la certezza numerica, sappiamo che si tratta di minoranze. Quello che voglio ricordare è che le minoranze e le eccezioni non sono fatte per confermare la regola. Le eccezioni hanno un significato loro proprio.