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Non vedo, non parlo, non sento. Al massimo insulto.

1-835di Michela Angelini per intersexioni

Ci sono cose che bambini e ragazzi non devono né vedere né sentire. Cose di cui non devono parlare. Rischierebbero di confrontarsi tra loro, rischierebbero di creare una società migliore e più inclusiva.

“Ideologia del gender” è un’accozzaglia di parole che vorrebbe significare, secondo i suoi inventori, l’ideologia secondo la quale non è il corpo sessuato con cui ognuno di noi è nato a determinare l’essere maschio o femmina di ogni essere umano. In rete si trovano vere e proprie guide per difendere i propri figli dall’ideologia del gender, per tenerli al sicuro da questa teoria che mina la costituzione della societĂ  e l’essenza fondante della natura umana: i maschi hanno il pene, le femmine la vulva.

Essendo innegabile che i mammiferi si dividono in maschi o femmine in base ai diversi genitali, chi ha scritto questa bislacca definizione dovrebbe quantomeno rivederne il senso logico. La differenza tra sesso e genere è semplice: genere è il significato sociale assunto dalle differenze sessuali, genere è ciò che comporta abitare un corpo maschile o femminile nel vivere con gli altri. Genere è quel che gli altri si aspettano da noi in quanto maschi o femmine. Il genere, in sostanza, è il risultato della diversa educazione che diamo a maschi e femmine, un fatto umano, non un’imposizione naturale.

L’identitĂ  di genere, invece, è quello ciascuno di noi sente di essere, di amare, di volere. Ognuno di noi ha un proprio grado di riconoscimento in quelle rigide categorie sociali chiamate uomo e donna, diverso per ognuno di noi.

Rifiutare che esistano genere ed identità di genere, rifiutare che siamo educati a favorire o inibire comportamenti propri della nostra natura per paura di non essere accettati dagli altri, significa asserire che chi nasce maschio è biologicamente programmato per avere comportamenti prestabiliti e diversi da chi nasce femmina, significa appiattire tutte le diverse espressioni possibili a due, significa omologarci ad un ideale che azzera qualsiasi nostra volontà e diversità.

Se femmina si nasce, quindi, si deve cucinare, pulire casa, essere remissiva, fare figli, amare un uomo, essere attraente, vestirsi in modo femminile, essere emotiva e amante di film sentimentali e pettegolezzi.

Se maschi si nasce si deve fare carriera, essere dei tuttofare, essere attivi e scattanti, portare a casa da mangiare ai figli, amare una donna, essere prestante, vestirsi in giacca e cravatta, essere impassibili ed impulsivi, amare sport e film d’azione.

Che figura ci fa un uomo che non sa cambiare una ruota ad una donna rimasta in panne?

Che figura ci fa una donna in carriera che non ha tempo per sistemare la casa e ha bisogno di una baby sitter?

L’essere donna in carriera o il non saper cambiare una gomma mettono in crisi il sesso di nascita o l’idea di donna-mocio-vileda, regina della casa e di uomo-coltellino-svizzero, che risolve ogni problema? Quanti di voi chiamerebbero quell’uomo incapace, mezza calzetta, inutile e quella donna innaffidabile, snaturata, riprovevole?

Avete una figlia che vuole portare i capelli corti? Una bimba che vuol giocare con pistole e soldatini? Un figlio emotivo, dalla lacrima facile? Un bambino che vuol vedere le winx?

Cosa pensate direste e direbbero amici e parenti in proposito? Se ti tagli i capelli non esci per un mese. Vuoi sembrare un maschio?Non interesserai mai un ragazzo se continui così. Sei una femminuccia. Impara a fare la signorina. Gioca con le barbie. I maschi non piangono. Sii uomo. Ma sei frocio? Vai a giocare a pallone o ti ci mando a pedate.

Il termine giusto per descrivere tutte queste belle parole è bullismo. Quella persona ancora bambina o adolescente, si sentirebbe sminuita socialmente, punita, magari anche fisicamente, psicologicamente sotto stress perché additata come diversa, come chi porta vergogna alla famiglia. Quella piccola persona sarebbe schernita e isolata solo perché colpevole di essere sé stessa e di non ricalcare uno stereotipo, colpevole, cioè, di non imitare ipotetici uomini e donne idealizzate ma di esprimersi per quello che è e che si sente di voler essere.

Siamo bulli quando vietiamo a qualcuno di esprimersi liberamente. Siamo bulli quando mettiamo i bambini sotto una campana di vetro che non gli permette di capire che ognuno ha il diritto di essere come cuore comanda. Siamo bulli quando invece di favorire l’integrazione parliamo di superioritĂ  ed inferioritĂ , di auspicabile e sgradito. Siamo bulli quando credendo di proteggere i bambini da una supposta ideologia li rendiamo schiavi di una societĂ  che non li accetta, li isola, li mette a rischio di violenza e suicidio. Siamo bulli quando ai nostri figli passiamo solo le parole frocio, troia, finocchio, negro o zingaro, che diventeranno parole vuote ripetute a pappagallo, insulti di cui nemmeno conosceranno il significato destinati a quei loro pari che non vogliono omologarsi.

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